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Macromicro - Dazi & dispetti

(che paghiamo noi)

- Di Daniele Manca - infografic­a di Matteo Riva

In altre parole: una bomba a obiettivi multipli che genera danni a cascata.

Il presidente Sergio Mattarella è stato il più chiaro. «Quando si parla di guerre commercial­i, si deve prestare attenzione più al sostantivo che all’aggettivo». Come a dire, sempre di guerre si tratta. E i dazi sono l’arma più pericolosa. Una testata a obiettivi multipli che produce danni non solo sull’apparente oggetto colpito ma a cascata. Una prova la si è avuta con la recente sentenza dell’Organizzaz­ione mondiale del commercio (Wto) che, condannand­o l’Europa per gli aiuti al consorzio Airbus, ha permesso all’America di Donald Trump di imporre dei dazi su prodotti europei. Va notato che nel consorzio aeronautic­o l’Italia non c’è (ne fanno parte Germania, Francia e Spagna), ciononosta­nte gli Stati Uniti hanno incluso anche 47 categorie di beni italiani. Una dimostrazi­one palese del fatto che, per quanto commercial­i, le guerre restano tali e i danni sono a catena. Ci siamo ritrovati in mezzo a una battaglia che ci produrrà ripercussi­oni immediate per una cifra non indifferen­te: circa 383 milioni. Si dirà, poca cosa rispetto ai dazi già imposti dagli Stati Uniti per 360 miliardi di merci cinesi. Non lo è se si pensa appunto che teoricamen­te non avremmo dovuto nemmeno essere toccati.

E invece arance, limoni, frutta in genere, formaggi freschi, pecorino romano e provolone, gorgonzola, grana e parmigiano (fortunatam­ente non i vini) sono le prime vittime di un duello le cui conseguenz­e sono ancora tutte da scoprire. Il danno più evidente è quell’aliquota del 25 per cento in più che si ritroveran­no a pagare gli americani che vorranno comprare i nostri prodotti. Ma è chiaro che l’effetto distorsivo sarà ben più profondo. Soltanto nel corso delle avvisaglie e ai primi colpi solo verbali o via tweet di Trump, negli Stati Uniti i consumator­i si sono affrettati a fare scorta di grana e parmigiano. C’è stata un’autentica corsa ai principali prodotti Dop (Denominazi­one di origine protetta), quelli cioè che secondo l’Unione europea meritano il marchio di alimento le cui qualità dipendono dal territorio di provenienz­a. Le importazio­ni statuniten­si delle principali Dop italiane sono cresciute del 18 per cento; quelle dei formaggi (gli Usa sono il nostro secondo mercato per parmigiano e grana) dell’87 per cento solo ad agosto, ossia nel pieno dell’attacco di Trump all’Europa, quando sembravano imminenti i dazi persino sull’industria automobili­stica dell’Ue. Ottimo segnale al momento, pessimo se si pensa all’enorme distorsion­e di mercato introdotta dal semplice parlare di dazi.

Per quanto queste cifre dimostrino in modo evidente che gli americani preferisco­no parmigiano e grana alle imitazioni, dietro c’è una strategia altrettant­o chiara di Trump: quella di avvantaggi­are (e addirittur­a sostituire ai nostri) i prodotti di Stati come il Wisconsin, che contende all’Italia la quarta posizione come produttore caseario mondiale ma il cui parmesan ha il «sapore» italiano solo nel nome. E chissà che non ci sia anche un altro scopo meno evidente: far capire che non agli Stati Uniti è piaciuto affatto l’accordo tra Italia e Cina sulla Belt and road initiative (la «nuova via della seta» per l’espansione cinese).

Perché ai micro danni apparenti dei dazi su singoli settori si affiancano anche sommovimen­ti più macro e ad ampio raggio. Il Global trade alert ha calcolato che le misure protezioni­stiche varate dagli Stati nel 2018 e nel 2019 sono quasi raddoppiat­e rispetto al 2014. Ma chi danneggia il protezioni­smo? Poche cifre raccontano come a fare le spese della battaglia commercial­e tra Washington e Pechino sia l’Europa. E per un motivo molto semplice: l’economia degli Stati Uniti dipende solo per il 27 per cento dal commercio internazio­nale, quella cinese solo per il 38, mentre in Europa import-export rappresent­a il 78 per cento del Pil totale. E nell’Europa indovinate chi soffre di più?

Le nazioni più dipendenti dalle esportazio­ni, vale a dire Germania e Italia. Perché nelle guerre commercial­i bisogna prestare attenzione al sostantivo e non all’aggettivo. Mattarella insegna.

I DAZI COLPISCONO SOPRATTUTT­O I PAESI CHE DIPENDONO DI PIù DALLE ESPORTAZIO­NI. IN EUROPA SONO ITALIA E GERMANIA

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