Macromicro - Dazi & dispetti
(che paghiamo noi)
In altre parole: una bomba a obiettivi multipli che genera danni a cascata.
Il presidente Sergio Mattarella è stato il più chiaro. «Quando si parla di guerre commerciali, si deve prestare attenzione più al sostantivo che all’aggettivo». Come a dire, sempre di guerre si tratta. E i dazi sono l’arma più pericolosa. Una testata a obiettivi multipli che produce danni non solo sull’apparente oggetto colpito ma a cascata. Una prova la si è avuta con la recente sentenza dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) che, condannando l’Europa per gli aiuti al consorzio Airbus, ha permesso all’America di Donald Trump di imporre dei dazi su prodotti europei. Va notato che nel consorzio aeronautico l’Italia non c’è (ne fanno parte Germania, Francia e Spagna), ciononostante gli Stati Uniti hanno incluso anche 47 categorie di beni italiani. Una dimostrazione palese del fatto che, per quanto commerciali, le guerre restano tali e i danni sono a catena. Ci siamo ritrovati in mezzo a una battaglia che ci produrrà ripercussioni immediate per una cifra non indifferente: circa 383 milioni. Si dirà, poca cosa rispetto ai dazi già imposti dagli Stati Uniti per 360 miliardi di merci cinesi. Non lo è se si pensa appunto che teoricamente non avremmo dovuto nemmeno essere toccati.
E invece arance, limoni, frutta in genere, formaggi freschi, pecorino romano e provolone, gorgonzola, grana e parmigiano (fortunatamente non i vini) sono le prime vittime di un duello le cui conseguenze sono ancora tutte da scoprire. Il danno più evidente è quell’aliquota del 25 per cento in più che si ritroveranno a pagare gli americani che vorranno comprare i nostri prodotti. Ma è chiaro che l’effetto distorsivo sarà ben più profondo. Soltanto nel corso delle avvisaglie e ai primi colpi solo verbali o via tweet di Trump, negli Stati Uniti i consumatori si sono affrettati a fare scorta di grana e parmigiano. C’è stata un’autentica corsa ai principali prodotti Dop (Denominazione di origine protetta), quelli cioè che secondo l’Unione europea meritano il marchio di alimento le cui qualità dipendono dal territorio di provenienza. Le importazioni statunitensi delle principali Dop italiane sono cresciute del 18 per cento; quelle dei formaggi (gli Usa sono il nostro secondo mercato per parmigiano e grana) dell’87 per cento solo ad agosto, ossia nel pieno dell’attacco di Trump all’Europa, quando sembravano imminenti i dazi persino sull’industria automobilistica dell’Ue. Ottimo segnale al momento, pessimo se si pensa all’enorme distorsione di mercato introdotta dal semplice parlare di dazi.
Per quanto queste cifre dimostrino in modo evidente che gli americani preferiscono parmigiano e grana alle imitazioni, dietro c’è una strategia altrettanto chiara di Trump: quella di avvantaggiare (e addirittura sostituire ai nostri) i prodotti di Stati come il Wisconsin, che contende all’Italia la quarta posizione come produttore caseario mondiale ma il cui parmesan ha il «sapore» italiano solo nel nome. E chissà che non ci sia anche un altro scopo meno evidente: far capire che non agli Stati Uniti è piaciuto affatto l’accordo tra Italia e Cina sulla Belt and road initiative (la «nuova via della seta» per l’espansione cinese).
Perché ai micro danni apparenti dei dazi su singoli settori si affiancano anche sommovimenti più macro e ad ampio raggio. Il Global trade alert ha calcolato che le misure protezionistiche varate dagli Stati nel 2018 e nel 2019 sono quasi raddoppiate rispetto al 2014. Ma chi danneggia il protezionismo? Poche cifre raccontano come a fare le spese della battaglia commerciale tra Washington e Pechino sia l’Europa. E per un motivo molto semplice: l’economia degli Stati Uniti dipende solo per il 27 per cento dal commercio internazionale, quella cinese solo per il 38, mentre in Europa import-export rappresenta il 78 per cento del Pil totale. E nell’Europa indovinate chi soffre di più?
Le nazioni più dipendenti dalle esportazioni, vale a dire Germania e Italia. Perché nelle guerre commerciali bisogna prestare attenzione al sostantivo e non all’aggettivo. Mattarella insegna.
I DAZI COLPISCONO SOPRATTUTTO I PAESI CHE DIPENDONO DI PIù DALLE ESPORTAZIONI. IN EUROPA SONO ITALIA E GERMANIA