Il potere della bellezza
Le opere, riconoscibili, di Mirko Baricchi: pennellate mosse disposte in veloce successione, tolte e riaggiunte. Come la natura che crea e distrugge.
ENTRO IN UNA SPECIE di trance…» dice Mirko Baricchi, «e mi concentro solo sulla pittura, sull’istante che sto vivendo, sul processo, su quel fare da cui l’opera prende forma, sull’ora e sul qui. Non è un pensiero ma una specie di nascita». E, negli ultimi tempi, queste nascite s’incarnano in quadri dalle stesure vitali e mosse, costruiti intorno a un timbro soltanto e profumati di un’idea di natura o meglio di «selva», di bosco, a cui Baricchi, non a caso, ha dedicato il suo ultimo ciclo di lavori. Niente di davvero figurativo, intendiamoci; le immagini possono ricordare frammenti di sottobosco o di radici, foglie sospese su depositi d’acqua, insomma una «natura naturans», ma sono anche, semplicemente, bellissimi dipinti astratti, ritmi di gesti mossi su campiture continue e vibranti.
Per ottenerle l’artista ha ideato una tecnica particolare: dispone il colore con pennellate mosse in veloce successione e prima che asciughi lo rimuove in parte; aggiunge e toglie, in una continua dialettica di azioni contrapposte ma complementari. «Come la natura che crea e distrugge continuamente e che oggi dobbiamo tutti sforzarci di preservare nella sua azione creativa». Al proposito, tra l’altro, è giusto ricordare che Baricchi ha collaborato a Dolomiti contemporanee, azioni e progetti che oggi tentano di rispondere alla sfida del ciclone Vaia, che nel 2018 ha abbattuto milioni di alberi nel Triveneto.
Il mondo artistico di Mirko Baricchi però nasce anche dalla storia della pittura, dalle atmosfere tonali dei paesaggi veneti del Quattro-Cinquecento come anche, soprattutto, dall’informale. Ma sono ricordi latenti, inconsci. Nel suo percorso individuale, invece, ha contato parecchio un viaggio in Messico, dove era arrivato poco dopo il diploma con un contratto di illustratore per un’agenzia americana, e da dove è ripartito artista puro; galeotto l’incontro con Rufino Tamayo e i muralisti messicani. Da quel momento, interesse critico e riconoscimenti intorno a lui non hanno fatto che aumentare. Ma non hanno turbato il suo stile di vita e il rapporto della pittura intesa come esercizio quotidiano, condotto «sin dal primo mattino nel mio studio immerso nella campagna e inondato di luce che proviene da Nord… Mi tengo a distanza dalle idee troppo brillanti, che spesso deludono, e cerco di tenermi stretto alla profondità dell’agire!» Grazie a questa pratica, semplice e quasi monastica, i suoi quadri parlano oggi con forza della nostra responsabilità per la natura; ma anche, per fortuna, del potere della bellezza.