Mensfashion. Anticipi di primavera
Camicie più lunghe delle giacche, dolcevita indossati sotto le polo, asimmetrie sartoriali, neo etnico e perfino il ritorno della cravatta: così sarà la prossima stagione del 2020.
RIUNIRE IN UN SOLO capo di abbigliamento la più tradizionale delle tradizioni inglesi della sartoria di Savile Row di Londra e la tecnica del kilt, altra tipicità che arriva dalla Scozia, non è impresa da poco. Soprattutto quando si agisce sul capo più formale del guardaroba maschile che è la giacca scura. Sarah Burton è riuscita a compierla in questa collezione per l’uomo di Alexander McQueen allungando un solo lato con un pannello a pieghe applicato su un fianco di una giacca. Il risultato non è semplicemente la creazione di un’asimmetria grafica ma un’impeccabile applicazione artigianale di quelle regole che stanno tornando a scrivere i comportamenti maschili all’interno della cabina armadio. Abbinata alla camicia con ricami floreali in bianco e nero, la giacca/marsina acquisisce un uso da smoking facilmente trasformabile in uno streetstyle ripensato in funzione punk.
ERA IL 1994 e nel mondo della moda maschile scoppiò una polemica provocata da Gianni Versace. L’uomo senza cravatta, un libro edito da Mondadori con le foto di Bruce Weber, Richard Avedon e Herb Ritts in cui modelli dai fisici prestanti e celebri clienti abituali (Jeremy
Irons, Sting, Sylvester Stallone, Mickey Rourke, Jeff Bridges) indossavano gli abiti del marchio ma rigorosamente senza cravatta mentre i testi, dello stesso Versace e di Bob Wilson, decretavano esplicitamente la fine di quello che era considerato l’accessorio maschile per eccellenza. Si indignarono gli industriali-produttori e i maschi benpensanti ma quella provocazione servì a eliminare un obbligo. Ora Donatella Versace la ripropone con tanto di firma originale ma abbinata a una giacca in pvc. Così è la moda.
NON è SEMPLICE definire con una collezione di abiti «la trasgressione, l’ambivalenza e la ribellione alle forme che impone l’abitudine» come dice Miuccia Prada. Soprattutto se bisogna stare attenti alle sensibilità di un mondo globalizzato ma ancora abbastanza diviso. Con un’alchimia di proporzioni, che è un puro esercizio di moda, si può cambiare la figura e l’attitudine maschile: la giacca a doppiopetto diventa una sorta di totem dal significato capovolto intorno al quale ruotano camicie e canotte più lunghe indossate su bermuda e pantaloni. E in un attimo nasce il nuovo suit, il completo che la cultura borghese assegna al maschio come una divisa che così non racconta più un’appartenenza a una classe sociale, ma definisce un modo di essere individuale.
SECONDO IL DIRETTORE creativo della linea maschile del marchio, Kean Etro, il mondo attuale genera confusione e rumore. Invece, «il deserto è un luogo di ritrovo, di forza, di silenzio. Si va nel deserto anche per stare un po’ zitti». Il riferimento è un non celato ritorno agli anni in cui l’avvento dell’era dell’Acquario, con la speranza della pace universale, aveva mosso gli animi creativi verso quegli stimoli che hanno prodotto buona parte della liberazione sociale di cui godiamo ancora oggi. Erano gli anni Settanta e lo spirito di scoperta di «mondi lontani» ha prodotto la tendenza dell’etnico, più tardi diventata etno-chic per annullare definitivamente la deriva folk. Questo ritorno proposto da Etro appare, quindi, un approccio riflessivo su un futuro incerto.
NEL LINGUAGGIO narrativo e critico che Alessandro Michele usa da quando è alla direzione creativa di Gucci agli anni Settanta viene attribuito un valore storico fondamentale per la vita sociale di oggi perché, Michele ne è convinto, «in quegli anni sono stati conquistati i diritti che ora vorrebbero negarci». Rileggere le forme e l’estetica di quel decennio, allora, non è soltanto un esercizio di stile ma uno studio delle dinamiche che hanno prodotto un avanzamento sociale. Attraverso i pantaloni con il fondo allargato e le sovrapposizioni di camicie in suède ai maglioni con il collo «dolcevita» rivivono, quindi, anche immagini cinematografiche precise, che grazie alla loro prorompenza non si trasformano mai in immagini vintage.
LA COLLEZIONE DEL DEBUTTO di Marco De Vincenzo nella moda maschile nasce da una riflessione su di sé per immaginare gli uomini che indosseranno i suoi abiti. «Sono affascinato da quelli che hanno più coraggio di me, che osano, che si rappresentano attraverso la moda e che hanno conquistato la libertà di vestire come vogliono» dice De Vincenzo per descrivere abiti che non nascono dalla forme ma dai materiali. Come dimostra questa giacca doppiopetto in cui è una stampa glitterata a sovvertire una forma tradizionale del guardaroba, come altrove è il tulle plissettato accoppiato al fresco di lana, il vinile traforato, il bouclé spalmato o il pizzo macramé laccato. Così, l’apparente contraddizione tra aspetti e materiali produce i capi ibridi di un nuovo guardaroba.
QUELLO TRA UOMO e natura è un rapporto interrotto in cui la moda svolge un ruolo di riflessione che non è scontato, anche perché si trasforma in un megafono di sensibilizzazione. Silvia Venturini Fendi costruisce questa collezione partendo dalle stampe Botanics for Fendi, fiori e foglie disegnate dal regista Luca Guadagnino, che le danno la possibilità di immaginare capi di abbigliamento molto vicini alla sensibilità ecologica perché prescindono dal materiale, cotone o lana o seta, e coinvolgono la forma. Come la tuta da giardiniere che ha un aspetto urbano ma la praticità moderna che mette insieme l’attitudine formale e quella streetwear senza mai trasformarsi in abbigliamento da lavoro. Un modo per reclamare uno stile di vita che tende a una larga ecosostenibilità.