Sport - Gli urban sport sono diventati grandi
Parkour a Madrid. La disciplina è stata inventata nel 1988 da David Belle, che si è ispirato al metodo creato dall’ufficiale di Marina Georges Hébert.
Skateboard a Vienna. Lo sport è diventato olimpico ed esordirà ai Giochi di Tokyo 2020.
«DOVE SEI STATO JAY? Perché non ti ho visto all’Arizona Contest?» chiede Stacy Peralta al socio Jay Adams (interpretato da Emile Hirsch) in una scena di Lords of Dogtown. «Skatare per soldi non fa per me, fratello» risponde la leggenda di Venice Beach, tra i fondatori della crew Z-Boys. Dall’uscita del film di Catherine Hardwicke che racconta della nascita dello skateboarding sono passati 14 anni, 40 e più dai fatti raccontati. Abbastanza perché il mondo intero cambiasse attorno a quella primordiale tavola di legno con le rotelle, assemblata per dare vita a spettacolari acrobazie nelle piscine vuote sulle colline attorno a Los Angeles. Da allora lo skateboard è diventato vessillo di ribellione, mezzo di trasporto giovanile, accessorio di culto, oggetto di tendenza e infine sport olimpico. Accadrà per la prima volta la prossima estate a Tokyo, dove la disciplina è stata inserita nel programma delle gare. Un’evoluzione di 180 gradi rispetto all’idea che ebbero gli ex surfisti narrati da Lords of Dogtown, che volevano solo saltare più in alto e dei soldi non sapevano che farsene. Con gli anni si sono ricreduti, visto che il loro discepolo più famoso, Tony Hawk, ha trasformato il proprio nome in un’icona grazie a un videogame e ora vanta un patrimonio da 126 milioni di euro.
Oggi Hawk dà il suo benestare alle Olimpiadi. «I Giochi necessitano della nostra coolness più di quanto noi abbiamo bisogno della validazione olimpica» è la sua premessa. «Molti di noi saranno ancora etichettati come reietti, vandali e punk, ma io spero che lo skateboarding olimpico ispiri una nuova generazione ad abbracciare questo stile di vita». Le notizie che arrivano dalla Cina, però, smorzano il suo entusiasmo. Nella Repubblica popolare sono state aperte accademie gestite dallo Stato, per trasformare i ragazzini in professionisti grazie al contributo di istruttori americani. «Il contrario dell’idea iniziale. Un’aberrazione che ha un precedente
«MOLTI VERRANNO ETICHETTATI COME VANDALI ,MA ISPIREREMO LE NUOVE GENERAZIONI» DICE TONY HAWK
nella DDR degli anni Ottanta, quando il regime diede vita a una selezione di skater come risposta alla diffusione della tavola tra giovani proletari e punk» spiega Flavio Pintarelli, autore del libro Stupidi giocattoli di legno (AgenziaX editore).
Il processo di normalizzazione, a dire il vero, va avanti da un pezzo, da quando cioè i grandi marchi hanno iniziato a mettere gli occhi su un universo sempre in bilico tra underground e mainstream. Si pensi alla storia di Supreme, brand nato come piccolo negozio di vestiti da skater a New York che oggi vale un miliardo di dollari. «Questo ha aumentato il livello tecnico e la professionalità. Con ogni probabilità le Olimpiadi allargheranno il solco tra chi usa lo skate per spostarsi in città (negli Stati Uniti la stima è di circa sei milioni di persone) o per fare quattro salti al park, e coloro che si muovono in un ambito agonistico» dice Pintarelli.
Un ragionamento simile si applica anche alle altre discipline «di strada», provenienti quasi sempre da sottoculture periferiche e per cui oggi va di moda una definizione edulcorata da ogni marginalizzazione: urban sport. Al momento di annunciare le novità delle XXXII Olimpiadi, in cui esordiranno anche l’arrampicata sportiva, il surf e la pallacanestro
3x3, il presidente del Cio Thomas Bach ha parlato così: «I nuovi sport rendono il programma dei Giochi più urbano e offrono l’opportunità di entrare in contatto con le giovani generazioni». Vale per gli atleti – si pensi al caso di Sky Brown, skater britannica che a 11 anni ha buone chance di infrangere ogni record di precocità olimpica – ma soprattutto per i tifosi, visto che dall’edizione 2012 a quella del 2016 l’audience delle Olimpiadi sull’emittente americana Nbc è crollata del 30 per cento nella fascia 18-34 anni.
«Il Cio cerca discipline più spettacolari, televisive e semplici da comprendere. Le gare che prevedono evoluzioni rispondono a queste caratteristiche» dice Mauro Centenaro, segretario del settore Fuoristrada della Federazione Ciclistica Italiana. Per lui a Tokyo ci sarà un extra lavoro, perché la bmx, nata a sua volta sotto il sole della costa Ovest degli Stati Uniti come espressione di libertà su due ruote, raddoppierà la presenza ai Giochi, affiancando alla modalità Race (olimpica dal 2008) anche la gara di Freestyle. Il lavoro che Centenaro ha svolto in questi anni rende bene l’idea di cosa comporti la «nomination» olimpica per la bmx, una disciplina che nel suo circuito più ricco, la Vans Pro Cup, offre un non trascurabile montepremi da 140 mila euro. «Da noi gli sponsor sono ancora pochi, così come i praticanti. Nel 2016 abbiamo iniziato a girare i park di Arezzo, Bologna e Brescia, per coinvolgere ragazzi e associazioni del territorio. Abbiamo costruito una squadra da zero, con gli appassionati» spiega.
Anche il basket 3x3 è pronto per il salto olimpico. Nato come variante street della pallacanestro, per giocare a metà campo nei playground delle metropoli, oggi attira campioni Nba in pensione e vanta tornei in diretta tv in tutto il globo. E che dire del surf? Sembra passato un secolo dai pionieristici Giorni selvaggi raccontati nel memoir del premio Pulitzer William Finnegan. Ora i salti sulle
NATA NEGLI USA COME SIMBOLO DI LIBERTÀ SU DUE RUOTE, A TOKYO LA BMX RADDOPPIA CON LA GARA DI FREESTYLE
onde saranno valutati da giudici in divisa e lo stesso accadrà prossimamente ai fanatici della break dance, che dalle strade del Bronx trasferiranno le loro battaglie sul selciato olimpico di Parigi nel 2024. Quasi un ossimoro, per chi vive ancora dei proventi del «cappello».
In lista d’attesa c’è un’altra disciplina prettamente metropolitana: il parkour, che consiste nell’eseguire un percorso superando il più velocemente possibile ogni genere di ostacolo, con corsa, salti e arrampicate. Ma pure qui l’evoluzione procede spedita, tanto che due anni fa questo sport è stato affiliato al Coni. «Grazie alla circolazione di informazioni in rete e ai vari inseguimenti cinematografici, che mimano sempre mosse di parkour o free running, il numero dei praticanti è aumentato molto» spiega Davide Polli, fondatore dei Milan Monkeys, tra i primi e più numerosi gruppi italiani a praticare l’arte dello spostamento. «Da un lato siamo convinti che servano maggiori regole e tutele, dall’altro il nuovo corso ha portato a uno snaturamento, con il blocco delle attività outdoor che sono il cuore del parkour. Ma se questo porterà finalmente a rispettare il sacrificio e il talento di atleti troppo spesso trattati come ragazzini immaturi, ben vengano le Olimpiadi».
Bmx a Bogotà. Alle Olimpiadi di Tokyo vedremo una nuova specialità, il Freestyle.