UN MONDO REALE DI UTOPIE ESTETICHE
QUASI 30 ANNI FA uno dei grandi testimoni della comunicazione contemporanea, il semiologo russo Jurij Lotman, scriveva: «La moda, con i suoi costanti epiteti “capricciosa”, “volubile”, “strana” che sottolineano l’assenza di motivazione e l’apparente arbitrarietà del suo movimento, diviene una specie di metronomo dello sviluppo culturale […]. Nello spazio culturale dell’abbigliamento si svolge una costante lotta tra tendenza alla stabilità, all’immobilità e l’orientamento opposto verso la novità, la stravaganza […]. Ciò permette di interpretare la moda sia come dominio di capricci mostruosi sia come sfera della creatività innovativa». Certamente l’estraneo che si affaccia al mondo delle sfilate vi vede soprattutto capriccio e stravaganza, modi di vestire che in genere hanno poco a che fare con l’abbigliamento quotidiano, con la giacca-e-cravatta o i jeanse-maglione di tutti i giorni. Ma basta guardare un po’ più a fondo, con più attenzione e simpatia, e si vedono i battiti del «metronomo dello sviluppo culturale», cioè il cambiamento sociale, o meglio quello dei sogni che lo muovono, dei modelli cui si ispira, insomma delle «forme di vita» che la società si prospetta.
La cosa fondamentale in questo discorso è il plurale. Da tempo non esiste più «la moda» ma «le mode», o se si vuole gli stili; non c’è più l’eleganza intesa come grammatica unica e normativa, ma i diversi modelli di identità che si esprimono con gli abiti. Ciascuno è chiamato a scegliere il suo, o più di uno, perché in tempi di pluralismo della moda il bricola
ge è una tentazione irresistibile. Essendo parecchi gli ideali, le forme di vita, le eleganze, ogni scelta serve a parlare di sé: la moda non solo comunica e si racconta con sfilate, riviste, vetrine, ma serve a chi la pratica come strumento di comunicazione, mezzo per esprimere il modo in cui vuole essere e piacere. La regola della moda plurale è dunque il gioco: il travestimento, l’identità come discorso seduttivo, che cambia di frequente e ha sempre alternative.
GLI STILISTI E LE GRIFFES sono i fornitori di questo discorso seduttivo, i primi sognatori delle nuove forme di vita. Le loro proposte più estreme non scendono per strada, non sono fatte per trovare compromessi con la vita quotidiana, ma per sovvertirla e ispirarla, per indicare direzioni, utopie, stili di vita: i
La moda racconta la pluralità della realtà mentre accompagna ogni cambiamento di stile maschile con la consapevolezza del gioco dell’immagine.
ganza. È un sogno che conserva qualcosa del vecchio mondo giovanile di Yves, il fondatore della maison, che negli anni Ottanta proponeva avventure più luminose e diurne, più serene e meno urbane, spesso ambientate in Marocco, ma sempre interpretando il sogno dell’uomo contemporaneo come post adolescenziale e ambiguo.
VOLENDO CERCARE ALTERNATIVE a questo mondo sotterraneo duro, nervoso e inquietante, che proietta un’immagine sovversiva e quasi violenta del maschile, ne troviamo naturalmente più d’una, lontane fra loro come atmosfere di film di registi del tutto diversi. Ad esempio, l’uomo più meridionale e colorato, ma anche più teatrale o forse televisivo, tipicamente neobarocco che da anni stanno elaborando Domenico Dolce e Stefano Gabbana per il loro marchio Dolce & Gabbana. Certo, anche nelle loro sfilate spesso non manca il nero, ma non appare come il tratto caratteriale di una condizione di allarme metropolitano bensì come una forma ostentata e po’ ridicolizzata di eleganza tradizionale, presto contraddetta dal bianco abbagliante di altri modelli, dai ricami e dai giochi di colore, dai classici gessati esagerati, dai broccati e dai tessuti sovrapposti, dall’oro e dalle citazioni. L’ideale non è una giovane belva delle periferie ma un pavone soddisfatto che gode dello sguardo meravigliato e seduce per narcisismo, un attore da commedia che gioca al limite della credulità sua e altrui, un giocoliere dell’immagine.
UN MODELLO MASCHILE che non si può omettere è quello di Giorgio Armani, arrivato già 40 anni fa, con i costumi di Richard Gere per il film American Gigolo, a un successo mondiale e da allora continuamente rivisto, ripensato, ridisegnato, ma rimasto sostanzialmente lo stesso, vera incarnazione di quella perfezione immobile che si definisce icona. Il sogno di Armani è fondamentalmente ambientato in un ambiente in bianco e nero o magari in ocra, come le foto che rievocano ricordi veri o possibili; gli abiti naturalmente hanno gli stessi colori. I suoi modelli sono giovani e sicuri e con una faccia cui non manca un accenno di sorriso; circola intorno a loro un’aria fortunata e fiduciosa, che li rende simpatici. Sono soli in passerella, ma mai solitari, ostili o insolenti; il loro è un mondo pieno di opportunità e di identità e anche la loro seduzione ha a che fare con una determinata contentezza che li rende alieni dalle preoccupazioni, dall’ostilità e dalla provocazione.
L’ultima tappa di questo breve viaggio va riservata a Gucci, alla trasformazione rivoluzionaria che alla storica griffe di pelletteria dalla sobria eleganza,
Nella moda si svolge una lotta costante tra stabilità e novità, creatività e capriccio