L’eredità di Kobe
I nati negli anni Settanta sono in una terra di mezzo, schiacciati tra i baby boomer e i millennial La generazione X è stata la prima in cui il talento non bastava più: ci volevano anche studio e applicazione Di Kobe Bryant si ricordano i sacrifici più de
IN QUESTE SETTIMANE abbiamo sentito parlare tante volte di «Mamba legacy»: l’eredità di Kobe Bryant. Sportiva, tecnica, morale. La sua morte allarga l’orizzonte del suo lascito collettivo a qualcosa di generazionale e quasi politico. Kobe è stato uno dei simboli dei nati negli anni Settanta: sono i 40enni di oggi, appena entrati nell’età in cui dovrebbero guidare aziende, istituzioni, Paesi e organizzazioni internazionali. Una generazione che invece è rimasta schiacciata: da una parte i baby boomer (nati tra il 1946 e il 1964), dall’altra i millennial (1980-2000) e poi la generazione Z (dopo il 2000). Restando allo sport significa essere stritolati tra Johnson-Bird-Jordan-MaradonaPlatini-Zico-Baggio-Borg-McEnroe e LeBron-Curry-Harden-Messi-Cristiano Ronaldo-Neymar-Federer-Nadal. La generazione X è rimasta lì: sportivamente ha prodotto Kobe, così come David Beckham, Ronaldo «il fenomeno», Francesco Totti, Alessandro Del Piero, Gigi Buffon. Tutti straordinari, tutti però avvolti dalla sensazione di essere nella terra di mezzo. Andandosene, Kobe ha raccontato al mondo la rilevanza della sua era, senza la quale chi è venuto dopo non sarebbe stato ciò che è, perché è stata la generazione X la prima in cui il talento non è bastato più, in cui l’applicazione, la voglia, la testa, l’energia, lo studio sono diventati ciò che faceva davvero la differenza. La morte di Kobe ha ricordato i sacrifici più della classe: nelle sue parole, interviste, speech veniva fuori più la parola lavoro che la parola genio. E questo nonostante fosse un genio, nonostante fosse un talento raro. Lo sapevamo, l’abbiamo sempre saputo, ma è come se fino al 26 gennaio 2020 fosse rimasto un piccolo tabù, qualcosa da non dire per paura di certificare quello stritolamento che il destino ha riservato alla generazione X: grande, ma non abbastanza da meritare la gloria eterna per l’invadenza dei predecessori e l’arroganza dei successori. Serviva uno choc, è arrivato con uno schianto che ha portato via uno che avrebbe fatto bene qualsiasi cosa. Per talento, intelligenza e lavoro. Dire che Kobe era tutti noi significava proprio questo: fai le cose al meglio che puoi. Il manifesto dei nati negli anni Settanta, che lo spazio se lo sono presi senza che nessuno volesse darglielo.