LE SERIE DI OGGI E I FILM DI IERI. DAGLI ANNI ’70 I TEENAGER SONO UN «PERICOLO IMMINENTE»
C’È UNA PERCEZIONE di «pericolo imminente» che caratterizza gran parte della rappresentazione degli adolescenti su grande e piccolo schermo dagli anni Settanta a oggi. La prima e la più rilevante caratteristica della giovinezza sembra essere l’incapacità di gestire un potere profondo, largamente inconsapevole, che può assumere connotati spaventosi se sollecitato in maniera negativa. Come dire che nei giovani, o meglio nei giovanissimi dai 13 anni in poi, alberghi tutto il bene e il male del mondo ma ancora in una forma tenera, molle, non del tutto sviluppata e dagli effetti, dunque, imprevedibili.
Stephen King ha colto molto bene questo aspetto con il suo romanzo poi diventato un film di Brian De Palma del 1976, che utilizza il sovrannaturale per disegnare un’allegoria delle conseguenze disastrose del bullismo: se la riserva di emozioni indomabili del liceo – un ambiente asfittico e chiuso, nel quale esiste un’enorme pressione alla conformità – viene crivellata, può fuoriuscire di tutto. I sentimenti dei teenager
sono infatti oro nero per l’audiovisivo; il petrolio di un’industria che si nutre della ricchezza di un periodo difficile e bellissimo. A 14, 15 o 16 anni si è materiale grezzo e la dimensione che si assume dipende in larga parte dalle esperienze positive o negative che determinano la sembianza della propria interiorità. E, perché no, esteriorità.
AD AVER RACCOLTO negli anni Ottanta la «minaccia» dell’adolescenza ci ha pensato anche John Hughes con il suo celeberrimo dove alcuni ragazzi molto diversi tra loro vengono puniti per comportamenti antisociali: colpisce la scelta del film di attribuire a cinque personaggi un gusto differente nel vestire, e nel parlare, che rispecchia l’appartenenza a gruppi stereotipati (i dark, gli sportivi, i belli della scuola, i teppisti, i secchioni). Qualità del cuore e della mente si riverberano sugli abiti e sul lessico generando una differenza apparente che, in realtà, è somiglianza in termini di disagio: «Quando cresci, il tuo cuore muore» è l’epigrafe di Breakfast Club che rende conto alla perfezione della paura dei ragazzi di diventare adulti, mentre costringe gli adulti a chiedersi che cosa sia stato della loro preziosa irrequietezza. Due film del 1988 colgono ulteriormente i rischi della giovinezza coniugandoli alla parodia:
A partire da« Twin Peaks» le storie dei ragazzi s’intrecciano sempre di più con il genere thriller
di Micheal Lehmann e di Tim Burton – entrambi con l’iconica Winona Ryder – si servono di un registro visionario per mettere in scena l’oscurità e la cattiveria dell’adolescenza. Ed è merito di David Lynch se lo stesso tema è finito per esplodere su piccolo schermo, con respiro avanguardistico, con (1990): a tutti gli effetti un teen drama al cui centro c’è il flirt con la morte della gang di adolescenti di cui fa parte la misteriosa reginetta della scuola Laura Palmer. Così le storie dei ragazzi si intrecciano sempre più a un altro genere, il thriller: un salto avanti veloce fino allo scorso decennio annovera eTredici, che dimostrano fino a che punto dalla giovinezza possano scaturire veri mostri. Anche sebbene in chiave magica un po’ come era accaduto con il Carrie di King, esplora lo stesso infinito e temuto potenziale.
Naturalmente, però, non solo la cupezza ha scolpito negli anni l’immaginario dei teenager. C’è un grande pendolo che si muove sulla produzione contemporanea e oscilla tra «responsabilità» e «protezione». Se pensiamo ai teen drama di maggior successo dagli anni Novanta al 2020, ci vengono in mente
fino all’ultimo prodotti in cui oltre al disagio si ritrova l’enfasi sull’autonomia dei ragazzi, sulla loro capacità di prendere le decisioni giuste.
Non tutti i film e le serie sul mondo dei teenager sono pervasi dalla cupezza e dal disagio
E poi c’è una webserie norvegese diventata un fenomeno a livello mondiale che ha anche la sua versione italiana, pubblicata su Timvision e ora disponibile anche su Netflix (che co-produce la quarta stagione). segue le vicende dei ragazzi del liceo Kennedy di Roma. È stata ideata e sceneggiata da Ludovico Bessegato, che è anche il produttore esecutivo della serie: «Ho cercato di raccontare gli adolescenti per come loro si sono raccontati a me in quasi tre anni di ricerca durante i quali abbiamo parlato con ragazzi che avevano un grande bisogno di essere ascoltati, di capire chi sono e di ottenere approvazione» spiega Bessegato. «Non ho trovato nessuna differenza tra i problemi e le aspirazioni degli adolescenti e quelli di quasi tutti gli adulti. La diversità semmai sta nel fatto che l’adulto viene portato a seppellire i suoi desideri dietro mutui, preoccupazioni, genitori che invecchiano e una società che lo fa sentire un “ragazzino” se si fa ancora guidare dalla passione e dalla trasgressione nelle scelte sentimentali e sociali. I teenager possono farlo e lo fanno con leggerezza, oggi come ieri».
Dagli anni Settanta a oggi i ragazzi non sono cambiati, dunque? «Quello che è diverso è certamente il contributo che la tecnologia ha offerto a tutti noi per lenire i nostri bisogni sociali. Instagram e gli altri social network hanno modificato e condizionato il modo in cui i ragazzi di oggi raccontano se
I social network hanno modificato il modo in cui i ragazzi di oggi raccontano se stessi ed entrano in relazione
stessi ed entrano in relazione gli uni con altri. Ma questo ha a che fare con la forma, appunto. Il contenuto, ovvero noi stessi e il nostro bisogno di condividerci, mi sembra immutato» risponde l’ideatore di Skam Italia.
DISCORSO A PARTE tocca alla rappresentazione femminile, che in alcuni casi non sfugge alla doppia forma di «madonna o prostituta» ma con il passare del tempo si è privata via via degli stereotipi di genere (la bellezza, la dolcezza, l’istinto materno oppure la fatalità, la sessualità estrema e la mancanza di istinti di autoconservazione) per arrivare a una fluidità come quella di Rue Bennett, protagonista di Euphoria; all’impegno civile e femminista di Maeve Wiley di alle istanze antipatriarcali della già citata strega Sabrina. Qualche tempo fa Molly Ringwald, attrice-feticcio di John Hughes, ha scritto un articolo d’opinione sul New Yorker definendo la bella Claire Standish, il suo personaggio in Breakfast Club, «oggettificante». Nell’epoca della pluralità dei punti di vista, favorita anche dalla moltiplicazione dei servizi di streaming, la speranza – in parte già mantenuta – è che alle ragazze più giovani vengano consegnati invece ruoli «soggettificanti», nei quali sia possibile trasporre l’autenticità del vissuto femminile oltre gli stereotipi.
Gli ultimi prodotti hanno offerto personaggi femminili meno stereotipati, come Rue Bennet in «Euphoria»