ZERO ISLAND: IL PARADISO VERDE DEGLI SVEDESI
Carburanti solo da fonti rinnovabili, riciclaggio degli scarti e turismo sostenibile. A LIDÖ si sperimenta un futuro a basso impatto. Da esportare sulla terraferma.
SSULLA COSTA ORIENTALE SVEDESE è sempre difficile capire se ci si trovi sul continente o su un’isola. Acqua e terra formano un tale mosaico che basta la prossimità con un qualsiasi specchio d’acqua – fiordo, lago o canale poco importa – a far vacillare le proprie certezze geografiche. Anche la superficie di una grande capitale come Stoccolma, adagiata su 14 isole, è il risultato di un cocktail fatto di un terzo di verde, un terzo di edifici e un terzo d’acqua. La natura attraversa così frequentemente la vita delle persone nel corso di una giornata che inevitabilmente costringe svedesi e turisti a tenere con lei un confronto costante. Non a caso Stoccolma è stata la prima metropoli ad aggiudicarsi il titolo di European Green Capital nel 2010. E non a caso la Svezia, da tempi non sospetti, è tra i Paesi all’avanguardia nella tutela ambientale: l’80 per cento delle case ha calore e acqua calda tramite teleriscaldamento, un approccio che consente di razionalizzare la rete e utilizzare le fonti energetiche a minor impatto ambientale, e talvolta persino di riciclare l’energia termica generata da sistemi industriali.
Molte città svedesi stanno sperimentando in autonomia soluzioni all’avanguardia per ridurre l’impatto urbano sull’ambiente. Dieci mila metri quadri di tetti degli edifici pubblici del distretto di Augustenborg a Malmö sono stati ricoperti
soggiorni estivi. Grazie a un geniale programma sostenuto da Neste, azienda finlandese leader nei bio-carburanti, è stata ribattezzata Zero Island e in un solo anno ha visto diminuire le proprie emissioni del 78 per cento. In questo caso non si è trattato di applicare soluzioni futuristiche o sperimentare particolari scoperte scientifiche: è bastato riorganizzare le attività umane ponendo la questione ambientale come priorità, per poi mettere a sistema una serie di tecnologie e buone pratiche che in 12 mesi hanno stravolto il bilancio energetico dell’isola.
In primo luogo, i carburanti fossili utilizzati in agricoltura e nel trasporto terrestre sono stati sostituiti con quelli ottenuti da fonti rinnovabili. Sia per la produzione di elettricità sia per riscaldare l’acqua si è fatto uso di pannelli solari. L’illuminazione tradizionale è stata sostituita da led a basso consumo. Poi è toccato alla gestione dei rifiuti: per quanto è possibile, su Zero Island viene reimpiegato tutto, a partire dagli scarti alimentari che sono compostati e trasformati
in fertilizzante naturale per le coltivazioni indigene di patate. Ogni dettaglio è stato concepito per ridurre l’impronta ambientale e la parte residuale è stata comunque compensata finanziando un progetto per una centrale eolica che produce elettricità «verde» nelle Filippine.
UNA VOLTA APPRODATI su Zero Island, si può fare un’esperienza in mezzo alla natura a impatto zero, trascorrendo le giornate tra passeggiate nel bosco ed escursioni in barca sulle altre isole. Ad accogliere i turisti per la notte, oltre alle tradizionali case in legno, c’è la visionaria Nolla: un rifugio estivo con grandi vetrate progettato dall’architetto Robin Falck per minimizzare l’impatto dell’ospitalità sull’isola
(gli altri hotel, infatti, pur eliminando tutti quei comfort superflui responsabili di emissioni di CO2 evitabili, immergono comunque gli ospiti in una dimensione abitativa troppo raffinata).
Anche i pasti sono una parte fondamentale dell’esperienza sull’isola. Lo Zero Menu servito al ristorante di Nolla, ideato dallo chef Jonas Svensson, valorizza ingredienti come pesce affumicato, patate e pane che appartengono da sempre alla tradizione gastronomica locale e stagionale. Sono queste infatti le due parole d’ordine affinché anche il cibo non sia fonte di spreco energetico: molta della verdura che arriva in tavola è coltivata nell’orto sull’isola, il pesce è fornito direttamente da pescatori della zona mentre il pane è fatto in casa.
A Zero Island una somma di soluzioni semplici ha portato in un arco di tempo ristretto, un anno, a un risultato non così banale. L’esperimento dimostra come da una parte la sostenibilità non sia una chimera ma in molti casi dipenda anche da piccole scelte quotidiane. Dall’altra, rappresenta un modello facilmente replicabile, si spera addirittura contagioso, sia in mare sia sulla terraferma.