PAROLE D’AMORE SCRITTE A MERINGA
Bomboloni o maccheroni, tortelli maremmani o empanadillas messicane. Modi di accudire codificati per generazioni future. E custoditi in vecchi ricettari familiari: un po’ libri di magia, un po’ patrimonio dell’umanità. Da tramandare per vie digitali
LLA CUCINA è scienza, ma il sapore della meringa è magia bianca. Capace di collocarci in un tempo e in un luogo precisi, come teletrasporto sensoriale. Il naso (è lì che sta il gusto, come ogni raffreddore ci ricorda) confina con le aree più primitive del cervello, ed è per questo che profumi e sapori hanno un potere di evocazione così grande (come si spiega a pag 142). L’equivalente in gastronomia dei libri magici sono i ricettari di famiglia. Che in un attimo ci restituiscono la voce dei nonni, il profumo della cucina, l’immagine nitida di noi stessi bambini. In particolare i dolci, quelle ricette semplici per cui non serve tirare fuori la bilancia: le meringhe fatte per non sprecare gli albumi avanzati dopo aver impastato la pasta fresca, il ciambellone «sette bicchieri» che si misura da sé, i bomboloni che i bambini vedono indorarsi nell’olio bollente. Queste specialità sono la triade su cui la fotografa Isabella Sommati ha basato il progetto Family memories, partendo da fotografie –ritrovate per caso – scattate anni prima durante un pomeriggio trascorso a sfornare meringhe con sua figlia. E ha deciso di trasformarle, con racconti e ricette, in libretti di carta, pensati per durare.
Versione aggiornata dei ricettari di famiglia: quei quaderni scritti a mano, macchiati dagli intingoli di cottura, fitti di scarabocchi e appunti che ancora si trovano in certe cucine; tesori familiari ma anche, sempre più, fonti per lo storico, che raccontano cosa le famiglie normali cucinassero quotidianamente, e come.
Tesori d’inestimabile valore, che oggi ci si sforza sempre più di recuperare e mettere sotto conserva digitale per i posteri. Un esempio è RAGÙ – Reti e Archivi del Gusto, progetto aperto curato via Facebook dall’archivista bolognese Mila Fumini, che punta a raccogliere ricettari domestici fotografando e trascrivendo tutte le preparazioni, così da renderle navigabili e metterle al servizio della memoria gastronomica collettiva.
Analogamente, l’Università statunitense di San Antonio, in Texas, ha ammassato una raccolta di libri di cucina messicana che ne comprende due migliaia: il più antico della collezione, che risale al 1789, è appunto un ricettario scritto a mano su un quaderno da Doña Ignacita, probabilmente cuoca presso una famiglia benestante. Qui la storia di una famiglia si intreccia con la Storia di una nazione, come testimoniano le ricette creole nate dall’incontro tra ingredienti portati dai conquistadores e la tradizione messicana, una volta superata la reciproca diffidenza (gli spagnoli consideravano il mais «un cibo misero», per i locali il grano era «buono solo in carestia»).
E cosa rimarrà per (come da anonima battuta stracitata sui social) «i nipoti del futuro che avranno la nonna vegana»? Le memorie degli anziani di oggi si serbano su supporti digitali. Su YouTube spopola la serie Pasta Grannies, format creato dalla food writer Vicky Bennison che riprende signore italiane mentre cucinano la loro specialità, dai tortelli maremmani alle fettuccine al ragù. I più tecnologicamente avanzati fanno già da sé, come il nonno napoletano Mimmo Corcione, che su YouTube nella cucina di casa ammannisce Calamarata ischitana, Maccheroni alla genovese e simili manicaretti autogestiti in video dal ritmo piacevolmente lento, chiusi da un piano americano in cui mostra il piatto finito con fierezza, senza riuscire a trattenere l'entusiasmo: «Magnatevillo!», invita; e per un attimo è come se i molti spettatori fossero tutti nipoti seduti nel tinello. Un gesto di accudimento, dal cuore della cucina. Come i ricettari di famiglia che ne sono la versione scritta: insieme formule magiche e lettere d’amore.