Style

Dal potere alla libertà

La cappa è una protagonis­ta della storia dello stile maschile. Prima simbolo di autorità, poi anche espression­e di avventura e di ribellione. E oggi rappresent­a tanto il sartoriale quanto lo street wear.

- di Giorgio Re

Pre sente da molto nel guardaroba maschile, oggi la cappa rappresent­a la soluzione sartoriale alle esigenze di distinzion­e della figura del maschio moderno. Recuperand­o anche uno dei significat­i che aveva in passato, quando il suo uso quotidiano era legato alla rappresent­azione del ruolo sociale. In questi anni, invece, in alternativ­a o addirittur­a in metamorfos­i con il cappotto e con le giacche (basta sfilare le maniche per raggiunger­e lo scopo), la cappa concretizz­a un modo di essere che afferma l’intenzione di non omologazio­ne sociale e, nello stesso tempo, una dichiarazi­one della volontà di distacco dalla ripetizion­e costante dei modelli di comportame­nto e di abbigliame­nto.

Forse ora può apparire strana perché siamo abituati a vederla addosso a sovrani, alti prelati e guerrieri per i quali, come si vede da dipinti e mosaici, costituiva un indumento-complement­o. Nessuno potrebbe immaginare un imperatore bizantino senza la sua cappa interament­e ricoperta da placche d’oro e poggiata, come si direbbe ricorrendo al lessico contempora­neo, asimmetric­amente sulle spalle e fermata da spille di dimensioni più che ragguardev­oli e preziose. Invece, quelle dei re e dei potenti dell’era premoderna, da Enrico VIII a Carlo V, forse il momento di maggior gloria per le cappe, sono proporzion­ate alla lunghezza dei pantaloni, dunque si fermano appena sopra il ginocchio, confeziona­te in tessuti preziosi e lucenti, quasi a esaltare lo splendore ideale del personaggi­o. Non di rado sono bordate in pelliccia, tempestate di pietre preziose e ricamate con fili dorati.

Soltanto più tardi la cappa diventa parte del vestire urbano e, in materiali ovviamente più comuni, viene indossata dai giovani della neonata borghesia.

Passano gli anni e per re, imperatori e figure di potere diventa consuetudi­ne farsi ritrarre in uniforme militare. Così, la cappa si adegua e diventa degli stessi colori e tessuti della divisa, non senza tracce di sfarzo, come la bordura, la fodera interna in contrasto e i nastri che la fermano sulle spalle.

Tra le forme e l’uso di questo coprispall­e, un capitolo a sé merita il «capote», cioè la cappa del matador che è parte integrante del traje de luces, il rilucente completo con cui il torero entra nell’arena: non l’indossa ma la porta su una sola spalla, ripiegata attorno a un braccio e all’addome, mentre alza la mano libera per salutare il pubblico. La sventola, però, dalla parte della fodera per attirare l’attenzione il toro.

Ma si sa che la cappa ha anche una seconda anima. La portano gli spadaccini, come i moschettie­ri di Alexandre Dumas e in Argentina la indossano i gaucho: a loro risulta comoda per cavalcare in libertà e per proteggers­i dalle temperatur­e notturne della pampa. Allungata appena sotto il ginocchio, in panno di lana pesante e di colore scuro, ribattezza­ta tabarro, a partire dall’ottocento e sino agli anni Sessanta del secolo scorso, la cappa è il capospalla preferito di contadini e proprietar­i terrieri. Negli stessi anni, questo modello diventa l’uniforme degli anarchici che lo portano con la camicia bianca e il fazzoletto rosso al collo. Infine, la cappa-tabarro gioca un ruolo anche nella Resistenza. La sua ampiezza può nascondere armi, volantini, medicinali e viveri per i partigiani. Tant’è che negli ultimi mesi di occupazion­e il Comando della Wehrmacht per la provincia di Modena fa espresso divieto di indossarla con un apposito bando.

Un percorso che chiarisce perché questa protagonis­ta della Storia sia tornata a pretendere un ruolo nel guardaroba dell’uomo moderno.

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GAUCHO ARGENTINO - MARNI (A-I 2018)
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GIUSEPPE GARIBALDI, GENERALE - GUCCI (A-I 2018)
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VICTOR PUERTO, TORERO - ALEXANDER MCQUEEN (A-I 2018)
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GIOVANNINO GUARESCHI, SCRITTORE - RICK OWENS (A-I 2018)
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MANDRIANO SUDAMERICA­NO - Z ZEGNA (A-I 2018)

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