Nel Paese del buon esempio
OGNUNO DI NOI porta in sé l’idea e il sogno di una società felice. C’è chi pensa alla Firenze dei Medici, chi al «Siglo de oro» di Miguel de Cervantes, chi alla Vienna felix di Francesco Giuseppe. Io vagheggio un ritorno all’atene di Pericle quando Aristotele, nel suo capolavoro La politica, dedicato alla gestione della polis ideale, sanciva che «la guerra è in vista della pace, il lavoro in vista dell’ozio, le cose utili in vista delle cose belle». Nell’atene del V secolo a.c., 150 mila schiavi e 20 mila stranieri si occupavano di tutti i lavori faticosi o degradanti mentre 40 mila cittadini liberi si dedicavano alla propria formazione umanistica, all’atletica, all’arte, alla politica. Aristotele sentì il bisogno di giustificare come mai un popolo così raffinato ricorresse a un istituto inumano come la schiavitù: «Se ogni strumento riuscisse a compiere la sua funzione o dietro un comando o prevedendola in anticipo […], se le spole tessessero da sé e i plettri toccassero la cetra, i capi artigiani non avrebbero bisogno di subordinati, né i padroni di schiavi». Aristotele preannunciava insomma che quando avessimo finalmente inventato computer e robot capaci di faticare al nostro posto, saremmo stati stupidi se, dopo averli inventati, non ci fossimo dedicati totalmente all’ozio creativo e alla politica proprio come fecero i Greci.
C’è oggi, in qualche parte del pianeta, un luogo e un popolo che si avvicinano a quell’idea di felice società ateniese? L’edizione 2018 del World Happiness Report mette in graduatoria 156 Paesi in base al loro livello di felicità e misura questo livello servendosi di sei parame-
tri: reddito pro-capite, speranza di vita, grado di libertà, generosità, sostegno sociale e assenza di corruzione. I Paesi freddi (Finlandia, Norvegia, Danimarca, Islanda, Svizzera, Canada, Svezia) si aggiudicano i primi posti. Ma al 13° posto, cioè ben 34 posizioni prima dell’italia, vi è la caldissima Costa Rica: «costa ricca», come la chiamò Cristoforo Colombo stupito dalla grande quantità di ori e gioielli indossati dai nativi. Il National Geographic arriva a sostenere che è il Paese più felice del mondo, scrivendo che «i costaricani godono al massimo grado il piacere di vivere la vita quotidiana in un luogo capace di mitigare lo stress e massimizzare la gioia».
IL CLIMA DELLA COSTA RICA
è tropicale, temperato dalla compresenza di 12 microclimi che dotano quest’area geografica della maggiore biodiversità nel mondo. La montagna del Cerro Chirripò sfiora i quattro mila metri, mentre sei dei 14 vulcani sono tuttora attivi. Insomma, Svizzera e Sicilia, Dolomiti mitteleuropee e palmeti marocchini si ritrovano idealmente uniti in un Paese tropicale grande quanto un paio di regioni italiane.
La Costa Rica è anche il Paese più verde e ricco di aree protette al mondo rispetto alla sua superficie, coperta per oltre un quarto da parchi naturali. Anche la densità di specie animali è la maggiore del pianeta, comprendendo iguana, scimmie, alligatori, serpenti, tartarughe giganti, formiche proiettile, grandi felini, tapiri, 133 specie di rane e 840 diversi uccelli.
Voluto dieci mila anni fa da gruppi di cacciatori, ora la nazione pratica scrupolosamente il divieto di cacciare e deforestare, ricava quasi tutta l’energia elettrica da fonti rinnovabili, tassa severamente chi inquina i corsi d’acqua, punisce con altrettanta severità chi molesta gli animali selvatici, assoggetta i fumatori a norme molto restrittive.
Alla cura dell’ecosistema la Costa Rica aggiunge quella della popolazione. I costaricani sono quasi cinque milioni, prevalentemente di razza bianca o meticcia e di religione cattolica. La capitale San José ha più o meno gli stessi abitanti di Firenze. Il dieci per cento della popolazione è costituita da migranti che sostano qui in attesa di sciamare verso gli Stati Uniti.
IN UN CONTINENTE CONNOTATO
dall’instabilità, la Costa Rica è una repubblica democratica che da oltre 70 anni non fa né guerre né rivoluzioni. Dal 1949 ha persino abolito le forze armate sostenendo che un esercito di insegnanti avrebbe sostituito quello dei militari. E così è stato: a differenza degli Stati confinanti, tutti afflitti da un alto tasso di analfabetismo, la Costa Rica spende il sette per cento del suo Pil per l’istruzione (contro il nostro quattro per cento). Il 97 per cento dei costaricani sono alfabetizzati e molti, oltre allo spagnolo, parlano un buon inglese.
Ciò assicura al Paese un Pil pro capite poco sopra i dieci mila euro generati non solo dall’agricoltura (caffè, banane e ananas) e dall’ecoturismo che attira ogni anno tre milioni di visitatori, ma anche dalla finanza, dalla consulenza manageriale e da un’industria di alto livello. Il Paese esporta strumenti medici, circuiti integrati, prodotti farmaceutici e apparecchi ortopedici per 11 miliardi di euro e attira dall’estero outsourcing finanziario e attività manageriali.
ANCHE IL SISTEMA SANITARIO
è all’avanguardia: la quasi totalità delle donne pratica la contraccezione; la quasi totalità dei bambini è vaccinata e ha fruito dell’assistenza prenatale. Centinaia di migliaia di stranieri vengono dal resto dell’america per farsi curare qui. Il 90 per cento dei costaricani può contare su una copertura assicurativa sociale. La scarsa ricchezza non torna a discapito della qualità della vita e dell’equilibrio ecologico.
La crisi ambientale e le disuguaglianze sociali saranno per il nostro pianeta le sfide maggiori dei prossimi anni. Calcolando che per assorbire la quantità di CO2 prodotta da ogni litro di benzina occorrono cinque metri quadri di foresta e che lo spazio bio-riproduttivo è di 1,8 ettari a testa, già oggi occorrerebbero 1,3 pianeti. Se anche i Paesi poveri elevassero i loro consumi, nel 2030 occorrerebbero più di tre pianeti. Deforestazione e gas serra minacciano l’atmosfera e aumentano il calore. Duecento milioni di persone rischiano di dover migrare per motivi climatici. Qualora questi disastri dovessero verificarsi, la Costa Rica sarebbe uno dei pochi Stati con la coscienza a posto.