Io Marina Abramovic
Volontà di ferro e un cuore romantico. La pioniera della body art porta a Firenze «The cleaner»: «Una riflessione sulla mia vita per chi verrà dopo di me».
Un fotogramma di The hero, opera video di Marina Abramović del 2001, esposta nella retrospettiva The cleaner a Palazzo Strozzi a Firenze fino al 20 gennaio 2019.
CAPACITÀ DI METTERSI A NUDO, impegno ossessivo, allenamento fisico e morale. «È come respirare, è il mio modo di essere». Per Marina Abramovic´, vivere e creare sono inscindibili. Cinquant’anni di carriera artistica vissuti a volte pericolosamente. Dalle performance più estreme, quali Thomas Lips, quando si era incisa una stella sul ventre con il rasoio, sdraiandosi poi su una croce di ghiaccio. Alle più avventurose, sulla Grande muraglia cinese: una marcia di tre mesi per incontrarsi con il suo compagno di vita e d’arte Ulay, giunto dall’estremità opposta alla sua e là dirsi addio. «L’italia è stata il primo Paese ad accogliere le mie performance negli anni Settanta, ma ero sorpresa di quanto le artiste italiane fossero lasciate in disparte. Mi sentivo sola» racconta Marina Abramovic´ in occasione della retrospettiva The cleaner, ospitata a Palazzo Strozzi. Prima artista donna a essere protagonista assoluta di una mostra nella sede fiorentina. «È una riflessione sulla mia vita. Sento di dover fare pulizia, conservare solo ciò che serve ed essere di esempio a chi verrà dopo di me. La mia autobiografia Attraversare i muri è invece dedicata ad amici e nemici».
Quanto conta l’imprinting della sua educazione? «I miei genitori mi hanno instillato una ferrea disciplina, che mi ha resa capace di affrontare tutte le sfide. Il 90 per cento di quanto ho ottenuto è dovuto al lavoro. Il successo è arrivato dopo». Per la figlia di due comunisti convinti, già partigiani eroi di guerra, nella Jugoslavia postbellica del maresciallo Tito, infanzia e giovinezza sono state un’austera palestra di resistenza. Allenatrice sua madre Danica, una che rifiutava l’anestesia dal dentista e non lesinava punizioni a suon di ceffoni. E guai a lamentarsi. «Non mancavano però libri e colori per dipingere, la possibilità o meglio il dovere di studiare ed essere la migliore».
Nell’esposizione fiorentina, tra le circa 100 opere in mostra, fra cui anche i suoi primi lavori di pittura, compare The hero, in cui l’artista, montando un cavallo candido, impugna una bandiera bianca. Niente a che vedere con quella del manifesto da lei firmato per la Barcolana di Trieste con il motto «Siamo tutti sulla stessa barca», oggetto di tante polemiche? «No. La prima è un omaggio a mio padre. Nel poster invece lancio un messaggio ecologista e di umanità».
Nel corso degli anni, l’artista ha affiancato le sue ricerche a pratiche di meditazione in ogni parte del mondo, dall’india all’indonesia, dal Brasile all’outback australiano. «Da tutte queste esperienze ho elaborato un modo tutto mio per ritrovare la connessione con me stessa. Insegno il metodo Abramovic´ anche con i seminari nomadi Cleaning the house. Dal 19 ottobre saremo alla Biennale d’arte di Bangkok. Ai miei allievi chiedo di digiunare, restare in silenzio, portare la mente in uno stato di quiete e affrontare una serie di esercizi fisici. Una sorta di purificazione per gestire energia, creatività ed emozioni». E l’amore? «Vitale! Sono molto romantica. Ora sono di nuovo innamorata. Io e Todd Eckart, che si occupa di tecnologia, stiamo molto bene insieme». Proprio la tecnologia offre un altro spunto di riflessione. «Il futuro della videoart è nella realtà aumentata, la fotografia è destinata a sparire». A 72 anni, portati gloriosamente, Marina Abramovic´ non ha dubbi: rifarebbe tutto, ma pensa al domani. Nel 2019 la aspettano alla Alte Oper di Francoforte (già sold out) e, per la prima volta, nella sua Belgrado. Nel 2020 tocca alla Royal academy of arts di Londra e poi all’opera di Monaco, con il progetto Seven deaths, sette finali tragici di eroine della lirica, morte per amore. Un omaggio a Maria Callas. «La mia audience è super giovane, dai 17 ai 30 anni, sono loro a portare i genitori. Il potere dell’arte è anche questo».
«Digiuno, silenzio ed esercizi fisici: il mio metodo per gestire l’energia e purificare la mente» Dall’alto in senso orario: The kitchen V: holding the milk (video, 2009), Black clouds coming (dipinto, 1970), Imponderabilia (video, 1977) e The house with the ocean view (installazione, 2002-2017).