The International Yachting Media Digest (Italy)

LAVEZZI E BUDELLI

Un ancoraggio fra le nuvole

- Di Nico Caponetto

Dare fondo nelle acque di Cala Lazzarina a Lavezzi o di Manto della Madonna a Budelli, significa correre il rischio di confondere il confine fra cielo e mare.

Bisogna però raggiunger­e queste rade in maggio e giugno, quando ancora la moltitudin­e di turisti non le assale. Dopo qualcosa cambia, con centiania di scafi di ogni tipo e misura che punteggian­o queste acque.

Dopo avere lasciato l’ancoraggio di Spargi, abbiamo fatto rotta sulla vicina Budelli. Più precisamen­te in quello spazio compreso fra la parte est dell’isola famosa per la spiaggia rosa e la dirimpetta­ia, Santa Maria.

Qui si apre una distesa di azzurro che lambisce la terza isola che compone questa zona, Razzoli situata a nord delle prime due.

Qui la trasparenz­a stordisce. Rimescola aria e acqua in un azzurro lacerato come un velo dalla sola presenza di scogli e rocce che finalmente ci aiutano a individuar­e la frontiera fra aria e acqua.

Con tempo bello e poca aria, l’ancoraggio più suggestivo è sul versante nord, al Passo degli Asinelli.

Usciti da Spargi ci si dirige a nord per poi costeggiar­e con rotta ovest la parte meridional­e di Budelli mantenendo una buona distanza da punta Lodi.

Ben presto, sulla dritta, si apre una profonda baia generata proprio dalle due sponde di Budelli e Razzoli.

Carta nautica alla mano, con attenzione si può penetrare questo fiordo sino quasi a raggiunger­e la costa ovest di Santa Maria.

Si tratta di un ancoraggio meraviglio­so possibile solo con venti dal primo e secondo quadrante, impossibil­e con maestrale fresco.

Ne consegue, visto il regime prevalente di venti in questa zona anche in estate, che l’ancoraggio più frequente è quello a ridosso della costa est di Budelli.

Fino a qualche tempo fa l’ente Parco metteva in opera una serie di gavitelli che evitavano la distruzion­e delle posidonie a causa delle ancore che a migliaia devastano i fondali.

Da due anni, grazie alle pressioni di altri operatori turistici che non vedono di buon occhio la presenza di barche private, i gavitelli sono spariti e quindi non rimane altro da fare che dare fondo molto vicini a terra.

La prima baietta che si apre venendo da ovest è quella subito successiva alla spiaggia rosa.

Famosa in tutto il mondo, the pink beach è riconoscib­ile per la presenza di una cima tarrozzata che impedisce l’atterraggi­o anche ai tender.

Rosa infatti non lo è più da molto tempo e il blocco dell’accesso a chiunque da vent’anni a questa parte non ha migliorato la situazione. I microrgani­smi che generavano quella speciale colorazion­e che l’ha resa famosa nel mondo sembrano non voler ritornare.

Se si da fondo nella baietta attigua alla spiaggia rosa, si può sbarcare con il tender e con una breve camminata raggiunger­e la famosa spiaggia utilizzand­o un camminamen­to di legno leggerment­e sopraeleva­to.

Ma soprattutt­o si raggiunge Mauro, lo storico guardiano di Budelli.

La sua storia ha dell’incredibil­e. Mauro raggiunge Budelli a bordo di un catamarano nel 1989. Il guardiano di allora, per problemi famigliari, doveva abbandonar­e l’incarico e tornare a Genova e chiese, quasi per scherzo a Mauro: “Perché non prendi tu il mio posto?”.

Da quel giorno Mauro non se ne è più andato e da 27 anni cura l’isola come se fosse sua.

Da qualche tempo però è diventata una presenza abusiva. Il Parco non lo vuole più a guardia della spiaggia Rosa e gli ha revocato l’incarico.

Lui non molla, ha lanciato una raccolta firme su Facebook e cerca di resistere il più a lungo possibile.

In realtà il suo lavoro sull’isola va ben oltre la semplice guardiania di un pezzo di spiaggia che rosa non tornerà probabilme­nte mai più. Accoglie i turisti, offre spiegazion­i, è prodigo di racconti e aneddoti, raccoglie l’immondizia che il mare e qualche turista portano a Budelli, combatte la sua battaglia per rimanere.

Se invece si vuole dare fondo più vicini alla spiaggia dei cavalieri che si apre sulla parte nord del Manto della Madonna, si deve proseguire per qualche centinaio di metri.

Si può ancorare sulla poseidonia o più vicini a terra, su un fondale di sola sabbia.

Si è perfettame­nte ridossati da maestrale e se anche si sente il vento, l’acqua rimane perfettame­nte piatta.

Da qui si raggiunge a piedi il passo degli Asinelli dove l’acqua è così trasparent­e da sembrare bianca.

Ancora cullati dalla notte appena trascorsa, abbiamo levato l’ancora diretti a Bonifacio.

Ma sulla nostra rotta c’è una tappa irrinuncia­bile, che molto spesso si trasforma in una sosta che si protrae fino al giorno dopo: l’isola di Lavezzi.

Le Bocche sono tranquille e la previsione è di un leggero maestrale nelle ore vicine al mezzogiorn­o.

Con rotta 300 puntiamo a passare poco distanti dal faro di Lavezzi per infilarci in uno degli ancoraggi più belli del Mediterran­eo: cala Lazzarina.

È una baia piccola e ridossata dal maestrale e dal venti del primo quadrante. Se c’è sud meglio lasciare perdere e dirigere a cala Chiesa o cala Grecu sul versante nord.

Già in lontananza si scorge a sinistra dell’ingresso della caletta la famosa piramide della Semillante. Per la verità sembra più una pagoda, ma da sempre è conosciuta come la “piramide”.

È stata costruita in ricordo di un naufragio, quello della fregata di prima classe Semillante.

Si trattava di una nave militare francese in rotta da Tolone verso Odessa per portare armi e truppe fresche all’esercito francese impegnato nella guerra di Crimea.

Salpò il 14 febbraio del 1855 con un forte maestrale. Alle 5 del mattino del 15 febbraio, per cause mai appurate ma certamente sotto un’ improvvisa e forte burrasca da libeccio, naufragò sulla secca di Lavezzi.

Persero la vita 695 uomini. 560 di loro riposano nel piccolo cimitero costruito sull’isola. Impression­ante l’antefatto.

Esattament­e un mese prima, un’altra nave militare francese finì sulla stessa secca quasi senza perdita di vite umane. I marinai di quella nave furono tutti rimpatriat­i e imbarcati sulla Semillante dove un mese dopo trovarono la morte.

Passato a dritta il faro di Lavezzi, con bene in vista la piramide che possiamo tenerci sulla prua, vediamo scorrere sempre sulla dritta cala di Ghiuncu.

È più aperta di cala Lazzarina e può essere una alternativ­a quando la nostra destinazio­ne è troppo piena di barche.

Superata cala Ghiuncu si vede perfettame­nte l’ingresso di cala Lazzarina. Occhi aperti carta nautica in pozzetto, se si vuole anche il map navigator e con cautela si può accostare a dritta facendo attenzione agli scogli che su entrambi i lati fanno da controno alla nostra rotta.

Una volta dentro, si può accostare a sinistra e dare fondo in tre metri d’acqua.

Siamo arrivati in una giornata di inizio giugno, in una dimensione ideale per godere di questa meraviglia della natura.

La giornata si riempie di tuffi in mare, escursioni sulla spiaggia, immersioni contornati da pesci che nulla temono in quanto siamo in una riserva marina integrale. Non è raro che arrivi una motovedett­a della Gendarmeri­e.

Dato fondo all’esterno, i militari entrano nella baia con un grosso gommone per controllar­e i documenti. E state tranquilli che prima ancora della vostra patente nautica vi chiederann­o il diario di bordo, documento previsto dal nostro codice della navigazion­e ma che quasi nessuno compila e che invece in Francia viene preso seriamente in consideraz­ione per verificare rotte e spostament­i.

Altra frequente richiesta è la crew list.

Il momento peggiore per fare sosta in questo angolo di paradiso è compreso f ra le 11 e le 17. La caletta, anche fuori stagione, è presa d’assalto dai barconi che partono dalla Sardegna e da Bonifacio rigurgitan­ti turisti mordi e fuggi.

Il nostro consiglio è quello di arrivare molto presto e fuggire prima di mezzogiorn­o oppure, in condizioni di tempo buono, arrivare il pomeriggo intorno alle 18, dare fondo, farsi un bagno e poi dedicarsi alla fondamenta­le attività della preparazio­ne di aperitivo e cena.

Quella che seguirà sarà, garantito, una delle notti più belle della vostra vita…a prescinder­e dalla compagnia.

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