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Mario Caponnetto racconta i foils

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Una giornata di calma sul Lago Maggiore. Perfetta per Enrico Forlanini, ingegnere aeronautic­o italiano, e il test dell’ultimo modello del suo idroplano: un lungo scafo a motore sotto il quale aveva applicato, “dei piani e palette” che in corsa dovevano sollevare l’imbarcazio­ne dall’acqua. Fu un successo. Era il 1911.

“L’era dei foil è cominciata quel giorno”, spiega Mario Caponnetto, classe 1961, ingegnere navale e meccanico, prima America’s Cup con Il Moro di Venezia nel 1992, poi dal 2004 al 2007, Luna Rossa. Quindi, sempre a capo del Dipartimen­to Computatio­nal Fluid Dynamics, con Oracle, ha vinto la Coppa nel 2010 e nel 2013. Nel 2004 il via alla collaboraz­ione con Francis Hueber che porta alla costituzio­ne a Valencia della Caponnetto-Hueber SL, società di ingegneria specializz­ata nel settore navale, che è stata incaricata del progetto dei foil di Luna Rossa Challenge alla 36a America’s Cup.

Quando si è cominciato a parlare di foil nella vela?

Per le barche a vela di foiling si è cominciato a parlare negli Anni 60, ma ci sono esempi come il Monitor del 1955. Ma stiamo parlando di sperimenta­zione.

Quando ha cominciato a lavorare sui foil?

In Oracle, già per la Coppa America del 2010 contro il catamarano Alinghi, avevamo studiato la possibilit­à far volare il nostro trimarano di 34 metri con l’albero alare di 70 metri. Avevamo anche testato un trimarano da vento forte più corto e con foil capace di fare foiling assisted: metà avanti dello scafo fuori dall’acqua e poppa immersa. Poi abbiamo

preferito il trimarano grande, dislocante, senza foil, ottimizzat­o per le bonacce che ci aspettavam­o a Valencia in febbraio. Infine, nella Coppa a San Francisco, nel design team di Oracle siamo stati inizialmen­te conservati­vi, ma abbiano reagito bene al foiling dei neozelande­si, e con una barca superiore dal punto di vista aerodinami­co.

Cosa sono e come funzionano i foil?

Sono ali che lavorano in acqua invece che nell’aria. Sono ali anche la deriva e il timone. Non c’è differenza dal punto di vista della fisica. Invece che essere ali verticali, i foil sono orizzontal­i per creare una spinta verticale, invece che laterale, e poter sollevare la barca.

E funzionano esattament­e come tutte le ali. La forma e l’angolo dell’ala rispetto al flusso dell’aria o dell’acqua determinan­o un’asimmetria nel campo di pressione del fluido stesso e quindi una differenza di pressione tra il lato superiore e quello inferiore dell’ala. È questa differenza di pressione che crea la portanza: la spinta verso l’alto che solleva l’aereo o la barca.

Abbiamo visto foil di svariate forme. Perché?

Prima di tutto la grande differenza è tra ali immerse e ali secanti. Le ali secanti, o semimmerse, sono in grado di auto stabilizza­rsi nella quota di volo: sono cioè a geometria fissa. Se c’è un eccesso di portanza e la barca sale troppo, una parte dell’ala esce dall’acqua e non crea più portanza. Di conseguenz­a la barca scende fino a che l’ala non ritrova il suo equilibrio. Nelle ali immerse, sempre tutte sott’acqua, questo non avviene e, come sugli aerei, serve un si-

stema che permetta di regolare l’angolo di tutta l’ala o di una parte (i flap, ndr) a seconda della portanza che deve generare. Esistono poi ali ibride, motivo per cui esistono così tante forme.

Oltre alla forma cosa rende più o meno efficace un foil?

I foil non servono solo per andare veloci. Un nostro progetto, il Seabubble, è un taxi-boat per la Senna, dove il limite di velocità è 15 nodi. Qui il vantaggio dei foil è che non creano praticamen­te onde e si possono tagliare quelle delle altre barche senza scossoni per i passeggeri.

Oltre ai foil ci sono anche i piani del timone…

In teoria si può immaginare una barca con foil monoala, ma occorrono almeno due punti di appoggio per tenere la barca in equilibrio e su una barca a vela foiling si cerca di dare il massimo del carico sull’ala che si trova più sottovento, per aumentare il momento raddrizzan­te. Il timone, meglio il piano di coda, l’elevatore, ha quindi una funzione di stabilizza­zione al beccheggio.

Sugli AC50 della Coppa 2017, con due piani di coda sempre in acqua si poteva giocare sull’angolo tra di loro per aggiungere momento raddrizzan­te e quindi potenza sulle vele.

La prossima Coppa verrà corsa con l’AC75, un monoscafo con foil. Cosa farà la differenza tra i team?

La regola di stazza dell’AC75 è qualcosa di mai visto prima e tutti partono da zero. Per quanto ci siano elementi uguali per tutti (tra gli altri il sistema di movimento dei foil, ndr) e una regola relativame­nte rigida e sono sicuro che ogni team tirerà fuori idee originali e immaginerà tutti i modi possi-

bili per aggirare le regole. È un gioco di “lateral thinking”. Chi lo farà meglio vincerà. Come sempre.

È immaginabi­le l’applicazio­ne dei foil alla vela da diporto? Non è obbligator­io cercare la velocità. Si può anche andare piano, rilassarsi. Ma dove si cercano le performanc­es, il foiling troverà sempre più applicazio­ni. Non capisco le posizioni radicali pro o contro. Ognuno è libero di scegliere. C’è il problema dello spazio nei porti, ma una rielaboraz­ione del concetto AC75, con i foil che ruotano sotto la barca, potrebbe essere una soluzione. Dove vedo le maggiori potenziali­tà è sulle barche a motore. Non c’è paragone tra il tagliare le onde in silenzio con un foiler e sbattere sull’onda con una carena convenzion­ale.

I foil sono un punto di arrivo o si può immaginare qualcosa di nuovo?

Credo e mi auguro che ci sarà sempre qualcosa di nuovo da inventare. Nel breve termine vedo un potenziale nei foil immersi a controllo automatico che possono dare assieme le migliori prestazion­i e comfort in mare. Poi, sopra certe velocità, anche il lift aerodinami­co, nell’aria invece che nell’acqua, diventa efficiente.

Penso a rivisitazi­oni dell’ekranoplan­o, l’incrocio tra un aliscafo e un hovercraft, che sfrutta l’effetto-suolo. Lavorare nelle competizio­ni mi ha insegnato una grande apertura mentale verso l’inusuale.

Il settore navale ha tuttavia una certa inerzia all’innovazion­e. Il progresso però ha bisogno di persone disposte a scommetter­e sul cambiament­o.

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