Workation, il mondo possibile
Obblighi di legge, welfare e workation
In un mondo del lavoro in continua evoluzione si fa strada il fenomeno del workation. Molto più del semplice concetto di lavorare in vacanza, apre riflessioni su temi importanti come responsabilità, sicurezza, gestione del rischio e molto altro. Ma quando il workation diventa vantaggioso per azienda e lavoratore? E qual è il ruolo del travel manager? Troviamo le risposte a queste e altre domande grazie alla ricerca di Travel for business e Alma Travel e alla tavola rotonda che si è svolta durante Geco Expo
Lavorare e stare in vacanza allo stesso tempo. È questo che suggerisce la parola workation, un nuovo fenomeno che avvicina vita lavorativa e tempo libero nel solco di un trend cresciuto durante la pandemia che vede le persone più attente alla propria qualità della vita.
Se infatti di workation - termine nato appunto dalla crasi delle due parole inglesi “work” (lavoro) e “vacation” (vacanza) - si parlava anche prima del Covid, è in questi anni che aziende e dipendenti stanno prendendo in considerazione quella che una volta era una tendenza un po’ esclusiva, spesso associata alla figura di nomade digitale.
Certo non si tratta ancora di una realtà consolidata, soprattutto nelle aziende italiane, ma inizia ad aprire nuove frontiere anche per quanto riguarda il business travel. Sul tema, Travel for business, in collaborazione con Alma Travel, ha svolto una ricerca interrogando la sua community online, proprio per individuare meglio nuovi bisogni, opportunità sociali e ambientali del workation in Italia.
“Oggi più che mai i confini del business travel si estendono a nuovi modi di percepire il lavoro e la vita e non si può più pensare solo in termini di criteri standard. Ecco perché il travel manager deve allargare i propri orizzonti e intercettare le esigenze dei viaggiatori” spiega Rosemarie Caglia, CEO di Travel for business. “Con la nostra ricerca abbiamo scelto ancora una volta di anticipare una tendenza e analizzare un fenomeno emergente come quello del workation, approfondendo tutte le implicazioni per il mondo del business travel. Non quindi il workation come fake trend costruito sull’immagine anche un po’ patinata del computer sulla spiaggia, ma un approccio concreto alle sue potenzialità, così come alle sue eventuali criticità con un’evidenza precisa sul nostro settore” conclude Rosemarie.
Lavorare con flessibilità è più importante della retribuzione
Guardando ai dati della ricerca, è emerso che l’82% dei rispondenti conosce già il fenomeno del workation, anche se solo il 26% dichiara di averlo utilizzato negli ultimi 12 mesi.
Il 70% vede il workation come una opportunità per acquisire una maggiore serenità e un miglior equilibrio tra vita personale e professionale, mentre il 32% pensa che l’azienda godrebbe di una maggiore fidelizzazione dei dipendenti. Il 24% afferma inoltre che con un’esperienza di questo tipo avrebbe più motivazione professionale.
E se il 62% è certo che con il workation migliorerebbe sia la qualità della vita che il lavoro, il 47% indica come “lavorare con flessibilità in qualsiasi luogo” sia più importante della stessa retribuzione (47%). Da tutte queste considerazioni si delinea come la percezione del workation sia perlopiù quella di benefit aziendale, come conferma anche il 68% dei rispondenti, che considera il workation come scelta temporanea e non definitiva.
E se guardiamo alle destinazioni, l’italia resta la meta preferita di workation (55%), con il prevalere del regioni del Sud (38%) e delle isole (24%), mentre 22% sceglierebbe altri luoghi in Europa e il 22% mete extra-europee.
Luoghi adatti e molta consapevolezza
Di workation si è discusso anche durante la tavola rotonda “Bleisure e workation” ospitata all’interno di Geco Expo la fiera virtuale italiana dedicata alla sostenibilità che si è tenuta dall’1 al 4 marzo scorsi.
La tavola rotonda, moderata da Rosemarie Caglia, ha visto la partecipazione di Samuel Lo Gioco, fondatore e Ceo di “Smart Working Magazine”, Alberto Gava, Chief of legal affairs di Utopia Lab, William Gandolfi, Travel & global mobility manager di AB Holding e Riccardo Ricci, senior business travel consultant di Alma Travel.
È partito dalla definizione stessa di workation Samuel Lo Gioco, affermando che “l’idea di lavorare mentre si è in vacanza è spesso fraintesa. È importante ricordare che la vacanza è una cosa e il lavoro un’altra e il concetto di workation non deve essere confuso con quello delle ‘ferie’, che restano necessarie per rigenerare davvero le energie”. Ecco perché, secondo Lo Gioco, il workation non è una soluzione adatta a tutte le situazioni. “Lavorare mentre ci si trova in un luogo diverso da quello abituale, approfittando quindi di ore libere per il relax, il turismo e così via, necessita prima di tutto di una grande organizzazione per riuscire a conciliare le diverse attività. Per approcciare il workation nella giusta maniera bisogna essere prima di tutto persone responsabili e consapevoli. Lo dice bene Richard Branson, il fondatore di Virgin, quando afferma che in
futuro i dipendenti decideranno quando hanno voglia di prendersi qualche ora, un giorno, una settimana o un mese di ferie, con la sola consapevolezza che lo faranno quando la loro assenza non danneggerà né il lavoro, né loro carriera” ha ricordato Lo Gioco.
Anche il workation va dunque in questa direzione, anche se resta il fatto che le aziende siano ancora restie a promuoverlo. Questo avviene anche a causa della scarsa disponibilità di luoghi adatti. “I luoghi di vacanza non sono sempre strutturati per il lavoro. Non è pensabile che una persona lavori una giornata intera sotto un ombrellone in spiaggia” ha precisato Lo Gioco. “Ora qualcosa sta cambiando, anche le destinazioni stanno capendo che sarebbe importante creare ambienti idonei per i lavoratori a distanza, come per esempio spazi di coworking, così come puntare sulla connettività” ha concluso.
Il travel manager al centro della rinnovata cultura aziendale
Se si parla di workation a entrare in gioco è anche la travel policy. Secondo la ricerca di Travel for business e Alma Travel, l’88% delle policy non prevede ancora il workation.
Tuttavia, il 34% dei rispondenti pensa che sia l’azienda a doversi assumere l’onere della gestione di questa tipologia di viaggio, mentre il 24% vorrebbe gestire in autonomia le prenotazioni con piattaforme dirette. Il 16% si affiderebbe alle nuove società specializzate in “Workation” e solo il 10% a una agenzia di viaggio.
E se la maggior parte richiede un coinvolgimento dell’azienda sugli aspetti organizzativi, sul fronte delle spese di viaggio il 32% pensa che dovrebbero essere i dipendenti stessi a sostenerle.
Per il 22% l’azienda dovrebbe pagare solo le spese di avvicinamento alla sede aziendale in occasione di convocazione di riunioni in azienda e il 16% afferma che invece dovrebbero essere pagate tutte le spese.
Sulla possibilità di concorrere alle spese di viaggio in workation, la maggior parte dei viaggiatori sono disposti a contribuire anche ai maggiori oneri che potrebbero derivare da una trasferta aziendale (78%) anche in considerazione del fatto che per il 60% lavorare in workation sia comunque sempre più economico.
Inoltre, il 47% afferma che sarebbe disposto a utilizzare il proprio welfare aziendale per contribuire alle spese di viaggio.
“Non prevedere un fenomeno come quello del workation nella travel policy potrebbe rivelarsi un nervo scoperto per le aziende, soprattutto nell’ottica di contrastare la cosiddetta great resignation” ha commentato William Gandolfi, Global Mobility Manager di AB Holding S.P.A.
È in questo senso che il compito del travel manager dovrebbe essere quello di coniugare le esigenze di business dell’azienda con i bisogni più attuali dei lavoratori. Come? “La travel policy non deve lasciare spazio a nessun tipo di incomprensione, soprattutto su chi deve farsi carico dei costi del workation, ma non solo” ha spiegato Gandolfi. “Questo pensando anche che il documento, più che essere impositivo, deve essere considerato strategico, utile per esempio per attrarre nuovi talenti”.
Ancora una volta, è il ruolo del travel manager a diventare ancora più cruciale. Secondo Gandolfi il travel manager dovrà essere in grado di “rivedere i rapporti con i fornitori e avere la possibilità di interfacciarsi con nuovi player, come le società specializzate in workation, per favorire l’azienda e i lavoratori allo stesso tempo. Ma dovrà soprattutto essere una figura in grado di evolvere nuovamente e capace di promuovere il rinnovamento della cultura aziendale dimostrando che le aziende sono davvero in grado di mettere le persone al centro”.
Altri temi fondamentali che ruotano attorno al workation sono quelli della sicurezza e della gestione degli infortuni. Secondo la ricerca, la maggioranza (81%) afferma che i viaggiatori debbano essere tutelati durante il tempo trascorso in workation. La maggiore tutela è individuata nelle polizze assicurative (67%), ma c’è grande consapevolezza anche sui rischi informatici, tanto che il 54% richiederebbe la dotazione di strumenti tecnologici sicuri. A questo proposito, c’è anche da sottolineare come la quasi totalità dei lavoratori in workation ritengano fondamentale condividere questa esperienza con la propria famiglia, prevedendo che le stesse tutele siano estese a tutti i familiari. Ma come la legge italiana sta regolamentando il workation? “Il workation deve prima di tutto essere considerato un momento di lavoro ed è per questo che nasce l’esigenza del rapporto con l’azienda. In caso contrario sarebbe considerato disconnessione completa, quale in realtà non è” ha specificato Alberto Gava, Chief of Legal Affairs di Utopia lab Srl.
L’impianto normativo italiano appare molto fragile su questo aspetto, tanto che non è ancora contemplato in nessuna normativa.
Per questo il workation può essere ricompreso nelle norme sullo smart working, a partire dall’articolo 2087 del codice civile, che impone all’imprenditore di adottare tutte le misure idonee a prevenire sia i rischi insiti all’ambiente di lavoro, sia quelli derivanti da fattori e-sterni e inerenti al luogo in cui tale ambiente si trova, e la legge 81 del 2017.
“Il workation è sempre una modalità di lavoro a distanza; quindi, si dovranno applicare le norme inerenti, ma è chiaro che si tratta di una materia complessa” ha spiegato Gava.
“I temi sono diversi e riguardano anche i locali dove si svolge il lavoro. Nel classico esempio del lavoratore che va alle Maldive, potrebbe per esempio esserci un serio problema in caso di data bridge dal punto di vista della privacy, così come è chiaro che non è possibile pensare di lasciare un computer aziendale incustodito mentre si va a prendere qualcosa al bar della spiaggia”. Insomma, fuori dai luoghi comuni le domande sono molte: quale locale è ritenuto più idoneo? Chi deve renderlo tale? “Anche il lavoratore stesso deve essere estremamente responsabile e collaborare per l’attuazione di misure di prevenzione del rischio.
Questo riguarda anche la scelta della destinazione, che deve essere fatta in modo ragionevole come viene ricordato espressamente dall’inail e dal protocollo sul lavoro agile” ha continuato Gava. E per quanto riguarda l’assicurazione sugli infortuni “chiunque lavori fuori dai locali aziendali deve esserne in possesso, mentre non c’è obbligo di legge su assicurazioni integrative, per esempio ai familiari. Questo non significa d’altro canto che il workation non si possa inserire come benefit nel welfare aziendale ed essere regolamentato in tal senso” ha concluso Gava.
Sostenibilità e workation
La ricerca indaga il workation anche dal punto di vista, molto attuale, della sostenibilità. Il 70% dei rispondenti sostiene che fare workation sia più sostenibile, mentre solo il 28% pensa che possa incidere sulla riduzione delle emissioni di CO2 e il 36% riconosce al workation il merito di aumentare le presenze in ambito rurale. “La sostenibilità del workation deve essere vista in un contesto ampio. È evidente che dal punto di vista ambientale, se per esempio da un lato consumo meno carburante per andare in ufficio, dall’altro avrò molte più abitazioni da riscaldare. La percezione del workation come scelta green è quindi da contestualizzare in modo più articolato” ha specificato Riccardo Ricci.
“Il valore aggiunto del workation non è quello di premio da dare ai più bravi, ma di scelta consapevole. Per esempio, può diventare una soluzione utile per permettere ai lavoratori di trascorrere il periodo estivo, quando anche i bambini sono a casa da scuola, in una località di villeggiatura che però abbia tutti i servizi necessari per il lavoro e la famiglia. In questo senso ci sarebbe una vera evoluzione dell’organizzazione del lavoro a vantaggio sia dell’azienda che del lavoratore” ha precisato Ricci.
Infine, la sostenibilità del workation può essere vista nell’ottica dei goal dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. “Penso in particolare ad alcuni, come il goal 3, ossia garantire salute e benessere alle persone di tutte le età, così come l’obiettivo 12, garantire modelli di produzione e consumo sostenibili, e tanti altri” ha concluso Ricci.