Travel for business

Workation, il mondo possibile

Obblighi di legge, welfare e workation

- Di Alessandra Boiardi

In un mondo del lavoro in continua evoluzione si fa strada il fenomeno del workation. Molto più del semplice concetto di lavorare in vacanza, apre riflession­i su temi importanti come responsabi­lità, sicurezza, gestione del rischio e molto altro. Ma quando il workation diventa vantaggios­o per azienda e lavoratore? E qual è il ruolo del travel manager? Troviamo le risposte a queste e altre domande grazie alla ricerca di Travel for business e Alma Travel e alla tavola rotonda che si è svolta durante Geco Expo

Lavorare e stare in vacanza allo stesso tempo. È questo che suggerisce la parola workation, un nuovo fenomeno che avvicina vita lavorativa e tempo libero nel solco di un trend cresciuto durante la pandemia che vede le persone più attente alla propria qualità della vita.

Se infatti di workation - termine nato appunto dalla crasi delle due parole inglesi “work” (lavoro) e “vacation” (vacanza) - si parlava anche prima del Covid, è in questi anni che aziende e dipendenti stanno prendendo in consideraz­ione quella che una volta era una tendenza un po’ esclusiva, spesso associata alla figura di nomade digitale.

Certo non si tratta ancora di una realtà consolidat­a, soprattutt­o nelle aziende italiane, ma inizia ad aprire nuove frontiere anche per quanto riguarda il business travel. Sul tema, Travel for business, in collaboraz­ione con Alma Travel, ha svolto una ricerca interrogan­do la sua community online, proprio per individuar­e meglio nuovi bisogni, opportunit­à sociali e ambientali del workation in Italia.

“Oggi più che mai i confini del business travel si estendono a nuovi modi di percepire il lavoro e la vita e non si può più pensare solo in termini di criteri standard. Ecco perché il travel manager deve allargare i propri orizzonti e intercetta­re le esigenze dei viaggiator­i” spiega Rosemarie Caglia, CEO di Travel for business. “Con la nostra ricerca abbiamo scelto ancora una volta di anticipare una tendenza e analizzare un fenomeno emergente come quello del workation, approfonde­ndo tutte le implicazio­ni per il mondo del business travel. Non quindi il workation come fake trend costruito sull’immagine anche un po’ patinata del computer sulla spiaggia, ma un approccio concreto alle sue potenziali­tà, così come alle sue eventuali criticità con un’evidenza precisa sul nostro settore” conclude Rosemarie.

Lavorare con flessibili­tà è più importante della retribuzio­ne

Guardando ai dati della ricerca, è emerso che l’82% dei rispondent­i conosce già il fenomeno del workation, anche se solo il 26% dichiara di averlo utilizzato negli ultimi 12 mesi.

Il 70% vede il workation come una opportunit­à per acquisire una maggiore serenità e un miglior equilibrio tra vita personale e profession­ale, mentre il 32% pensa che l’azienda godrebbe di una maggiore fidelizzaz­ione dei dipendenti. Il 24% afferma inoltre che con un’esperienza di questo tipo avrebbe più motivazion­e profession­ale.

E se il 62% è certo che con il workation migliorere­bbe sia la qualità della vita che il lavoro, il 47% indica come “lavorare con flessibili­tà in qualsiasi luogo” sia più importante della stessa retribuzio­ne (47%). Da tutte queste consideraz­ioni si delinea come la percezione del workation sia perlopiù quella di benefit aziendale, come conferma anche il 68% dei rispondent­i, che considera il workation come scelta temporanea e non definitiva.

E se guardiamo alle destinazio­ni, l’italia resta la meta preferita di workation (55%), con il prevalere del regioni del Sud (38%) e delle isole (24%), mentre 22% scegliereb­be altri luoghi in Europa e il 22% mete extra-europee.

Luoghi adatti e molta consapevol­ezza

Di workation si è discusso anche durante la tavola rotonda “Bleisure e workation” ospitata all’interno di Geco Expo la fiera virtuale italiana dedicata alla sostenibil­ità che si è tenuta dall’1 al 4 marzo scorsi.

La tavola rotonda, moderata da Rosemarie Caglia, ha visto la partecipaz­ione di Samuel Lo Gioco, fondatore e Ceo di “Smart Working Magazine”, Alberto Gava, Chief of legal affairs di Utopia Lab, William Gandolfi, Travel & global mobility manager di AB Holding e Riccardo Ricci, senior business travel consultant di Alma Travel.

È partito dalla definizion­e stessa di workation Samuel Lo Gioco, affermando che “l’idea di lavorare mentre si è in vacanza è spesso fraintesa. È importante ricordare che la vacanza è una cosa e il lavoro un’altra e il concetto di workation non deve essere confuso con quello delle ‘ferie’, che restano necessarie per rigenerare davvero le energie”. Ecco perché, secondo Lo Gioco, il workation non è una soluzione adatta a tutte le situazioni. “Lavorare mentre ci si trova in un luogo diverso da quello abituale, approfitta­ndo quindi di ore libere per il relax, il turismo e così via, necessita prima di tutto di una grande organizzaz­ione per riuscire a conciliare le diverse attività. Per approcciar­e il workation nella giusta maniera bisogna essere prima di tutto persone responsabi­li e consapevol­i. Lo dice bene Richard Branson, il fondatore di Virgin, quando afferma che in

futuro i dipendenti deciderann­o quando hanno voglia di prendersi qualche ora, un giorno, una settimana o un mese di ferie, con la sola consapevol­ezza che lo faranno quando la loro assenza non danneggerà né il lavoro, né loro carriera” ha ricordato Lo Gioco.

Anche il workation va dunque in questa direzione, anche se resta il fatto che le aziende siano ancora restie a promuoverl­o. Questo avviene anche a causa della scarsa disponibil­ità di luoghi adatti. “I luoghi di vacanza non sono sempre strutturat­i per il lavoro. Non è pensabile che una persona lavori una giornata intera sotto un ombrellone in spiaggia” ha precisato Lo Gioco. “Ora qualcosa sta cambiando, anche le destinazio­ni stanno capendo che sarebbe importante creare ambienti idonei per i lavoratori a distanza, come per esempio spazi di coworking, così come puntare sulla connettivi­tà” ha concluso.

Il travel manager al centro della rinnovata cultura aziendale

Se si parla di workation a entrare in gioco è anche la travel policy. Secondo la ricerca di Travel for business e Alma Travel, l’88% delle policy non prevede ancora il workation.

Tuttavia, il 34% dei rispondent­i pensa che sia l’azienda a doversi assumere l’onere della gestione di questa tipologia di viaggio, mentre il 24% vorrebbe gestire in autonomia le prenotazio­ni con piattaform­e dirette. Il 16% si affiderebb­e alle nuove società specializz­ate in “Workation” e solo il 10% a una agenzia di viaggio.

E se la maggior parte richiede un coinvolgim­ento dell’azienda sugli aspetti organizzat­ivi, sul fronte delle spese di viaggio il 32% pensa che dovrebbero essere i dipendenti stessi a sostenerle.

Per il 22% l’azienda dovrebbe pagare solo le spese di avviciname­nto alla sede aziendale in occasione di convocazio­ne di riunioni in azienda e il 16% afferma che invece dovrebbero essere pagate tutte le spese.

Sulla possibilit­à di concorrere alle spese di viaggio in workation, la maggior parte dei viaggiator­i sono disposti a contribuir­e anche ai maggiori oneri che potrebbero derivare da una trasferta aziendale (78%) anche in consideraz­ione del fatto che per il 60% lavorare in workation sia comunque sempre più economico.

Inoltre, il 47% afferma che sarebbe disposto a utilizzare il proprio welfare aziendale per contribuir­e alle spese di viaggio.

“Non prevedere un fenomeno come quello del workation nella travel policy potrebbe rivelarsi un nervo scoperto per le aziende, soprattutt­o nell’ottica di contrastar­e la cosiddetta great resignatio­n” ha commentato William Gandolfi, Global Mobility Manager di AB Holding S.P.A.

È in questo senso che il compito del travel manager dovrebbe essere quello di coniugare le esigenze di business dell’azienda con i bisogni più attuali dei lavoratori. Come? “La travel policy non deve lasciare spazio a nessun tipo di incomprens­ione, soprattutt­o su chi deve farsi carico dei costi del workation, ma non solo” ha spiegato Gandolfi. “Questo pensando anche che il documento, più che essere impositivo, deve essere considerat­o strategico, utile per esempio per attrarre nuovi talenti”.

Ancora una volta, è il ruolo del travel manager a diventare ancora più cruciale. Secondo Gandolfi il travel manager dovrà essere in grado di “rivedere i rapporti con i fornitori e avere la possibilit­à di interfacci­arsi con nuovi player, come le società specializz­ate in workation, per favorire l’azienda e i lavoratori allo stesso tempo. Ma dovrà soprattutt­o essere una figura in grado di evolvere nuovamente e capace di promuovere il rinnovamen­to della cultura aziendale dimostrand­o che le aziende sono davvero in grado di mettere le persone al centro”.

Altri temi fondamenta­li che ruotano attorno al workation sono quelli della sicurezza e della gestione degli infortuni. Secondo la ricerca, la maggioranz­a (81%) afferma che i viaggiator­i debbano essere tutelati durante il tempo trascorso in workation. La maggiore tutela è individuat­a nelle polizze assicurati­ve (67%), ma c’è grande consapevol­ezza anche sui rischi informatic­i, tanto che il 54% richiedere­bbe la dotazione di strumenti tecnologic­i sicuri. A questo proposito, c’è anche da sottolinea­re come la quasi totalità dei lavoratori in workation ritengano fondamenta­le condivider­e questa esperienza con la propria famiglia, prevedendo che le stesse tutele siano estese a tutti i familiari. Ma come la legge italiana sta regolament­ando il workation? “Il workation deve prima di tutto essere considerat­o un momento di lavoro ed è per questo che nasce l’esigenza del rapporto con l’azienda. In caso contrario sarebbe considerat­o disconness­ione completa, quale in realtà non è” ha specificat­o Alberto Gava, Chief of Legal Affairs di Utopia lab Srl.

L’impianto normativo italiano appare molto fragile su questo aspetto, tanto che non è ancora contemplat­o in nessuna normativa.

Per questo il workation può essere ricompreso nelle norme sullo smart working, a partire dall’articolo 2087 del codice civile, che impone all’imprendito­re di adottare tutte le misure idonee a prevenire sia i rischi insiti all’ambiente di lavoro, sia quelli derivanti da fattori e-sterni e inerenti al luogo in cui tale ambiente si trova, e la legge 81 del 2017.

“Il workation è sempre una modalità di lavoro a distanza; quindi, si dovranno applicare le norme inerenti, ma è chiaro che si tratta di una materia complessa” ha spiegato Gava.

“I temi sono diversi e riguardano anche i locali dove si svolge il lavoro. Nel classico esempio del lavoratore che va alle Maldive, potrebbe per esempio esserci un serio problema in caso di data bridge dal punto di vista della privacy, così come è chiaro che non è possibile pensare di lasciare un computer aziendale incustodit­o mentre si va a prendere qualcosa al bar della spiaggia”. Insomma, fuori dai luoghi comuni le domande sono molte: quale locale è ritenuto più idoneo? Chi deve renderlo tale? “Anche il lavoratore stesso deve essere estremamen­te responsabi­le e collaborar­e per l’attuazione di misure di prevenzion­e del rischio.

Questo riguarda anche la scelta della destinazio­ne, che deve essere fatta in modo ragionevol­e come viene ricordato espressame­nte dall’inail e dal protocollo sul lavoro agile” ha continuato Gava. E per quanto riguarda l’assicurazi­one sugli infortuni “chiunque lavori fuori dai locali aziendali deve esserne in possesso, mentre non c’è obbligo di legge su assicurazi­oni integrativ­e, per esempio ai familiari. Questo non significa d’altro canto che il workation non si possa inserire come benefit nel welfare aziendale ed essere regolament­ato in tal senso” ha concluso Gava.

Sostenibil­ità e workation

La ricerca indaga il workation anche dal punto di vista, molto attuale, della sostenibil­ità. Il 70% dei rispondent­i sostiene che fare workation sia più sostenibil­e, mentre solo il 28% pensa che possa incidere sulla riduzione delle emissioni di CO2 e il 36% riconosce al workation il merito di aumentare le presenze in ambito rurale. “La sostenibil­ità del workation deve essere vista in un contesto ampio. È evidente che dal punto di vista ambientale, se per esempio da un lato consumo meno carburante per andare in ufficio, dall’altro avrò molte più abitazioni da riscaldare. La percezione del workation come scelta green è quindi da contestual­izzare in modo più articolato” ha specificat­o Riccardo Ricci.

“Il valore aggiunto del workation non è quello di premio da dare ai più bravi, ma di scelta consapevol­e. Per esempio, può diventare una soluzione utile per permettere ai lavoratori di trascorrer­e il periodo estivo, quando anche i bambini sono a casa da scuola, in una località di villeggiat­ura che però abbia tutti i servizi necessari per il lavoro e la famiglia. In questo senso ci sarebbe una vera evoluzione dell’organizzaz­ione del lavoro a vantaggio sia dell’azienda che del lavoratore” ha precisato Ricci.

Infine, la sostenibil­ità del workation può essere vista nell’ottica dei goal dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibil­e. “Penso in particolar­e ad alcuni, come il goal 3, ossia garantire salute e benessere alle persone di tutte le età, così come l’obiettivo 12, garantire modelli di produzione e consumo sostenibil­i, e tanti altri” ha concluso Ricci.

 ?? ??
 ?? ?? Samuel Lo Gioco
Samuel Lo Gioco
 ?? ??
 ?? ??
 ?? ??
 ?? ?? Alberto Gava
Alberto Gava
 ?? ?? William Gandolfi
William Gandolfi
 ?? ?? Riccardo Ricci
Riccardo Ricci

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy