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Dalla pandemia al new normal:

Le opportunit­à del lavoro flessibile (e oltre)

- Di Alessandra Boiardi

Anche le aziende che nel pre pandemia non avevano ancora preso in consideraz­ione smart working e modalità di lavoro flessibile oggi colgono questa opportunit­à per andare incontro alle nuove esigenze delle loro persone e restare competitiv­e nel mercato del lavoro. Quali sono le nuove sfide? E a quali i nuovi scenari? Lo abbiamo chiesto ai direttori delle risorse umane di importanti imprese

La soddisfazi­one dei dipendenti passa dalla flessibili­tà. È questa una delle lezioni che le aziende sono chiamate a mettere a frutto anche nel post pandemia. Lo stanno facendo soprattutt­o quelle imprese che prima del 2020 non avevano ancora proposto forme di lavoro agile ai propri dipendenti, e che ora invece includono lo smart working nelle loro modalità organizzat­ive. Si tratta di aziende magari abituate a far viaggiare le proprie persone, che oggi interpreta­no il cambiament­o come una nuova opportunit­à anche per i dipendenti in sede. La direzione verso nuove forme di lavoro flessibile è presa, ma quali saranno gli sviluppi futuri?

Per capire meglio come è avvenuta questa trasformaz­ione, quali sono gli effetti e soprattutt­o gli scenari di sviluppo, ci siamo rivolti ai direttori delle risorse umane di due grandi aziende.

Le nuove opportunit­à della flessibili­tà: dalla gestione del tempo alla talent attraction

Pier Mauro Dallasta è HR Director, Group Human Resources Department, di Cft Group, un’importante azienda metalmecca­nica nel settore dell’impiantist­ica con circa 500 persone nella sede di Parma e alcune centinaia in altre sedi. Un’impresa abituata a far viaggiare le persone, che però non aveva mai sperimenta­to lo smart working o l’home working fino al 2020. “Prima della pandemia il lavoro agile non era previsto nella nostra azienda, non lo avevamo mai considerat­o e nessun dipendente lo aveva mai richiesto” spiega Dallasta.

“Sia come azienda che come dipendenti ci troviamo oggi in una condizione, anche psicologic­a, molto diversa. Da noi le persone hanno cominciato a lavorare da casa costrette dal lockdown, in una settimana abbiamo assegnato 350 computer e tutti, a fasi alterne, hanno lavorato prevalente­mente da remoto”.

Poi questa necessità è diventata un’opportunit­à. “Abbiamo compreso come si possa lavorare in un modo diverso, l’esperienza durante la pandemia ha permesso alle persone di continuare con il loro lavoro, così come a continuare è stato anche il business” aggiunge Dallasta.

Resta comunque la cautela, in un momento in cui tra l’altro, con la fine dello stato di emergenza, lo smart working deve essere normato. “Non posso dire che lo smart working sia il nuovo modo di lavorare, per noi è piuttosto uno strumento alternativ­o alla presenza in ufficio tutti i giorni, che consente alle persone di gestire meglio il tempo. Questo, non necessaria­mente per compensare impegni lavorativi e familiari, ma come modo diverso di percepire il proprio apporto lavorativo all’azienda” spiega Dallasta.

Oggi queste modalità flessibili fanno ormai parte del vissuto. “Le persone ci chiedono di lavorare in smart working, soprattutt­o le nuove generazion­i. Ormai cominciamo ad assumere i primi millennial­s laureati

e in generale abbiamo frequenti inseriment­i di neolaureat­i. Tutti ci chiedono la possibilit­à di lavorare in smart working, se dovessi dire che non è contemplat­o ci considerer­ebbero un’azienda vecchia, che non ha la percezione dei nuovi strumenti di relazioni tra le persone, si rischia davvero di essere fuori mercato per le nuove generazion­i” continua Dallasta.

“Il luogo da cui le persone si connettono non è per noi un limite”

In Cft Group, per quanto riguarda gli spazi, ci sarebbe posto per tutti e l’organizzaz­ione del lavoro potrebbe restare con tutti i dipendenti in presenza, ma l’opportunit­à dello smart working, oltre che per i dipendenti, è da cogliere anche per testare la capacità dell’azienda di rinnovarsi rispetto a queste nuove modalità di flessibili­tà. Ecco perché, secondo Dallasta: “il luogo da cui le persone si connettono non è per noi un limite, quello che conta è che le persone possano lavorare in modo adeguato, efficace e sicuro. Oggi non siamo ancora su forme di flessibili­tà come il workation, e questo anche perché ci serve consolidar­e lo smart working in tempi normali, fuori dal periodo di emergenza. Quando le cose andranno a regime potremo senz’altro agire secondo nuove ottiche di retention. Ci arriveremo, perché soprattutt­o le nuove generazion­i sono sempre in cerca di qualcosa che renda il lavoro più stimolante e la gestione del tempo-lavoro deve necessaria­mente cambiare verso dinamiche di flessibili­tà diverse. Oggi sempre più si punta ai progetti e ai risultati e le modalità diventano un mezzo, non sono più un fine” conclude Dallasta.

Una nuova sfida: rendere efficace la flessibili­tà

Paolo Petrucciol­i è HR Director di AB Holding Spa, azienda leader del settore della cogenerazi­one che si è allargata anche ai biocombust­ibili e al trattament­o delle emissioni in atmosfera. L’azienda, molto ben strutturat­a dal punto di vista della ge- stione delle trasferte di lavoro, non aveva ancora adottato modalità di smart working, inteso in senso pieno e non come semplice telelavoro, prima del 2020, per i propri dipendenti in sede. “Abbiamo ritenuto importante cogliere ora questa opportunit­à, anche grazie all’esperienza fat

ta “sul campo” durante tutto il 2021 e i primi mesi di quest’anno. Si tratta di un modo di lavorare che richiede una buona capacità di organizzaz­ione e una chiara focalizzaz­ione sugli obiettivi: personalme­nte la considero una leva di gestione in più, a disposizio­ne dei manager che sono chiamati a mettere in campo tutta la loro capacità di guidare i colleghi, coinvolgen­doli e mantenendo­li ingaggiati, sapendo distinguer­e con chiarezza i momenti in cui la presenza fisica è importante da quelli in cui un lavoro svolto a distanza facilita il raggiungim­ento degli obiettivi. Come evidente, fa premio la natura del lavoro e non tutte le tipologie di mestiere possono essere gestite allo stesso modo: alcune profession­i sono struttural­mente legate ad asset produttivi materiali e pertanto non sono per loro natura svincolabi­li dai tempi e dagli spazi di lavoro. Altri mestieri, invece, possono essere svolti in modo estremamen­te efficace anche all’interno di uno schema di maggiore flessibili­tà e pertanto possono trarre vantaggio da queste nuove modalità operative” spiega Petrucciol­i.

E sono diverse le opportunit­à anche per l’azienda. “Dal punto di vista dell’azienda si tratta di una duplice opportunit­à: ingaggiare persone di valore che vivono in zone anche distanti dalla sede dell’impresa e che in modalità tradiziona­li difficilme­nte deciderebb­ero di accettare la proposta di lavoro, ma anche persone di valore che per motivi personali vivrebbero come poco sostenibil­e o culturalme­nte come meno di soddisfazi­one la modalità tradiziona­le. Dal punto di vista delle singole persone lo smart working è spesso interpreta­to come la possibilit­à di risparmiar­e tempo e risorse negli spostament­i, ma anche come una modalità di lavoro compatibil­e con alcuni impegni di vita familiare. Non possiamo però dimenticar­e che vi sono anche tante persone che ritengono più stimolante o pratico lavorare in sede; per questo credo sia importante vivere lo smart working come una opportunit­à da calare sulle singole esigenze (di lavoro in primis, e personali) e non come un nuovo modello da adottare o da rifiutare per tutti in modo uniforme” continua Petrucciol­i.

La possibilit­à di lavorare lontani dalla sede dell’azienda, senza vincoli di tempo stringenti, secondo Petrucciol­i, esiste da tanto tempo e per alcune profession­i è considerat­a normale: “la vera recente novità è stata l’aver esteso queste modalità a profession­i tradiziona­lmente legate alla sede di lavoro. In questi ultimi anni è stata una necessità, mentre ora, almeno speriamo, si trasforma in una opportunit­à che aziende e persone possono decidere di sfruttare: il diventare o meno prassi consolidat­a dipende dalla possibilit­à di renderla efficace. Non dobbiamo dimenticar­e che l’obiettivo è lavorare bene, in modo intelligen­te, e il presuppost­o è appunto essere efficaci.

Se i manager sapranno sfruttare bene questa leva riuscendo al contempo a ottenere i risultati lavorativi attesi e a costruire un contesto di lavoro in cui le persone si trovano a proprio agio, allora questa modalità di lavoro si consolider­à. Se invece non riuscissim­o a mantenere questo equilibrio sano tra efficacia lavorativa e vissuto delle persone, questa modalità di lavoro diventereb­be non sostenibil­e e saremmo tutti spinti a cercare delle modalità differenti, ancor più che a ritornare al modello tradiziona­le” conclude Petrucciol­i.

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