Gabriele BURGIO
Il presidente della più importante realtà turistica italiana sottolinea la carenza di grandi investimenti nel settore («serve uno sforzo maggiore nella ricerca di una qualità più alta») e sbotta pensando alle occasioni mancate:
«in Italia non sfruttiamo un potenziale enorme»
Ragioniamo su una visione di futuro del turismo. Le regalo una bacchetta magica: cosa farebbe subito?
«Ci sono così tante cose da fare e così tante variabili incognite! Secondo me potremo parlare di bacchetta magica solo nel momento in cui sapremo quando finirà questa storia. Al momento, l’unica cosa certa è che tutti gli operatori del settore – compresi noi, che abbiamo anche inserito anche un piccolo marchio per rassicurare l’ospite sulla nostra serietà – stanno applicando dei protocolli di sicurezza e di funzionamento, ma tutti speriamo che si tratti di una situazione ragionevolmente temporanea. Perché comunque questi controlli e queste limitazioni fanno sì che la capienza delle strutture sia ridotta, in particolare negli alberghi per le vacanze che lavorano soprattutto nei mesi di luglio e agosto: anche se è bene cercare di ampliare il turismo in altre stagioni, è innegabile che i grandi numeri si fanno d’estate. E questo ora è un problema molto importante, perché con la riduzione della capienza tutto diventa meno redditizio. La mia speranza è un po’ scontata, e so che rischio di essere banale, ma vorrei che si potesse tornare il più velocemente possibile alla situazione di prima, perché la nostra industria turistica è pensata per quel tipo di schema. Certo, sarebbe interessante pensare di spingere i turisti verso piani vacanze differenti, per esempio rendendo più attrattive le vacanze nei mesi meno “interessanti” per l’italiano – tipo giugno e settembre – e spalmando così il turismo durante tutto l’anno, o magari pensare i nuovi investimenti con meno densità. Ma è chiaro che che per spingere il pubblico in questo senso
bisogna proporre qualcosa che abbia lo stesso appeal della vacanza come è stata concepita fino ad ora, ovvero un momento d’incontro e di socialità, un’occasione per conoscere altra gente e altre realtà».
Lei quindi auspica un ritorno alla normalità o vede un potenziale cambiamento in quelli che sono i paradigmi del turismo, come per esempio il turismo di massa?
«Posso dire una cosa, in tutta onestà? Io questa definizione di “turismo di massa” non l’ho mai apprezzata, non mi piace e l’ho sempre trovata molto dispregiativa: che vuol dire di massa, che tanti vanno in vacanza in luglio e agosto? Non mi sembra proprio sensato definire così il flusso turistico. Al di là della definizione, comunque, è vero che oggi il nostro turismo è strutturato in questa direzione, con tanti spostamenti concentrati in pochi mesi: si potrà tornare al passato solo se questo rischio sanitario sarà spazzato via completamente. Se questa situazione, invece, dovesse persistere, è chiaro che sarà necessario studiare una nuova offerta, ma ci vorrà almeno qualche anno per renderla efficace ed effettiva».
E per progettare questo nuovo modello turistico, pensa che ci sia qualcosa da imparare dall’esperienza vissuta, che possa essere applicata a un’eventuale nuova proposta?
«Sicuramente quello che ci siamo trovati a vivere ci ha fornito molti spunti da applicare in maniera sempre più rigorosa nel futuro, come per esempio la grande rivalutazione delle norme igieniche, che forse non sempre in tutte le parti del mondo venivano applicate così in profondità e seguite con questa attenzione. Lo stesso discorso vale anche per la massificazione dei controlli sanitari e medici, e poi in particolare manterrei quest’attenzione alla salute anche dal punto di vista della proposta gastronomica, favorendo sempre di più prodotti bio e proponendo menu che seguano una filosofia di benessere. Inoltre, come accennavo prima, sarebbe un’ottima cosa pensare a una distribuzione differente delle vacanze, ispirandoci ad altri Paesi che lo fanno già da molto e con grande successo. In generale, direi che questa esperienza dovrebbe farci capire che il turismo va preso più seriamente sotto tutti i punti di vista, e che forse il futuro ci obbligherà ad essere tutti molto più professionali».
Sappiamo che la situazione non è delle più semplici, e che il comparto del turismo non è stato trattato nel modo ideale. Vuole approfittarne per togliersi un sassolino dalla scarpa?
«Io preferisco non espormi troppo, perché rappresentando Alpitour mi sento sempre dire che per me è facile parlare e rispettare certi criteri, guidando un gruppo così grande e consolidato. Però una cosa la voglio dire: non è così. Globalmente servirebbe uno sforzo maggiore nella ricerca di una qualità più alta. Non voglio attaccare nessuno in particolare, però faccio sempre l’esempio delle autostrade: come ci presentiamo agli europei che vengono in casa nostra e si fermano all’autogrill per mangiare? In modo pessimo, perché nella grande maggioranza di queste stazioni, i prodotti alimentari sono di bassa qualità. Nelle stazioni e negli aeroporti si sta facendo, ultimamente, qualche timido passo in avanti, ma dopo anni in cui siamo stati le Cenerentole della situazione. Insomma, qui non è una questione di gelosie e ripicche personali, sto parlando di un problema ampio e su vasta scala, legato a una generale carenza di liquidità che ha portato inevitabilmente ad un abbassamento della qualità. Perché il turismo, come tutti gli altri settori, ha bisogno d’investimenti importanti, non se ne può fare a meno se si vogliono raggiungere certi livelli».
Secondo lei il turismo, in questo senso, avrebbe quindi bisogno anche di una rappresentanza governativa diversa, per esempio di una figura non tanto politica, quanto tecnica?
«Certo, questo aiuterebbe indubbiamente, anche se io sono convinto che non sia questa l’unica salvezza possibile: il cambiamento deve arrivare dal basso, dalle persone. Perché troppa gente non rispetta le leggi in vigore? Perché non c’è abbastanza controllo. Anche tutta la questione della classificazione – stelle, controlli qualità, ecc. – qui da noi non è presa così seriamente, mentre all’estero questo aspetto è molto più seguito e considerato. Invece, secondo me, i riconoscimenti sono importantissimi, e non solo quelli legati, che ne so, a quanto è grande la reception o se le tue camere hanno i minibar: ci vorrebbe un riconoscimento ufficiale per premiare anche i risultati economici di una struttura, sarebbe uno stimolo molto bello per chi la gestisce con tanti sacrifici».
Proprio alla luce di questo innalzamento della qualità, secondo lei dovremmo pensare al turismo più come “esperienza”, rendendolo più profondo, piuttosto che continuare a proporlo come un “contenitore” nel quale spostare il corpo in una location diversa?
«Direi che nel caso dell’Italia è quasi d’obbligo rendere la vacanza un momento esperienziale: abbiamo così tanto da offrire nel nostro Paese, che è molto facile riuscire a proporre il viaggio come esperienza profonda. Credo che questo possa essere anche un forte elemento di stimolo per gli operatori del settore: sono proprio loro che dovrebbero inventarsi questo tipo di offerta, date le grandi possibilità che hanno qui in Italia. Detto questo, però, non credo che se ne possa fare una filosofia assoluta, è più una scelta dell’operatore privato offrire questo concetto di esperienza, perché le persone non sono solo di un tipo: ci sono turisti da vacanza “mordi e fuggi”, e ci sono viaggiatori che amano vivere qualcosa di mai vissuto in altri luoghi. Il nostro compito è quello di riuscire ad accontentare entrambi».
E quindi qual è, dalla voce del più grande tour operator italiano, l’esperienza migliore che un viaggiatore potrebbe vivere?
«Possiamo dire, in generale, che gli italiani sono un po’ meno sensibili a questo discorso delle esperienze, mentre gli stranieri impazziscono per tutte le proposte di food&beverage, di esperienza artistica, di cooking class, di escursioni particolari. In questo senso c’è un mondo in Italia, un mondo da far vedere e provare: su questo fronte siamo ricchissimi! Ho notato che molti operatori si stanno concentrando su questo tipo di offerta esperienziale. Ovvia
Questa esperienza dovrebbe farci capire che il turismo va preso più seriamente sotto tutti i punti di vista, e il futuro ci obbligherà ad essere tutti più professionali
mente però l’offerta di un’esperienza deve anche portare a un innalzamento del livello delle strutture e delle infrastrutture: purtroppo negli ultimi 10/15 anni, l’Italia ha perso molto in termini di rapporto qualità-prezzo. Come possiamo compensare questo tipo di situazione, per far sì che il nostro prodotto rimanga concorrenziale rispetto per esempio alla Spagna o alla Grecia, che offrono in questo momento altri tipi di vacanze molto interessanti? Dobbiamo investire, appunto, sui complementi».
Questa differenziazione è più marcata a livello di turismo balneare, o è comunque diffusa su tutta la proposta nazionale?
«A livello urbano in realtà c’è già una forte offerta “esperienziale”, quindi non è strettamente necessario un intervento drastico. Servirebbe invece convincere, per esempio, un turista del Nord Europa a visitare la Calabria. Pensi che a sud di Roma, in base agli ultimi dati, va solo il 15% del turismo internazionale, ed è davvero un peccato: oltre a non sfruttare un potenziale enorme, rischiamo di perdere il confronto con altre destinazioni che si trovano alla stessa latitudine – vedi Spagna o Grecia – e che invece hanno investito molto in questo senso, creando per esempio hotel molto più moderni dei nostri. Anche perché magari hanno più spazio, molti hanno a disposizione leggi urbanistiche meno restrittive, meno burocrazia di fondo, e questi sono tutti elementi che aiutano altri Paesi ad emergere più facilmente rispetto al nostro. Sarebbe opportuno, quindi, riuscire a dare contenuti un po’ diversi e importanti, perché questo potrebbe aiutarci realmente a lottare con concorrenti molto agguerriti.
In Alpitour abbiamo già diverse idee interessanti, che applicheremo man mano che questa preoccupazione immediata per il quotidiano sarà placata: una delle prime che abbiamo lanciato è Alpigreen, un catalogo web che abbiamo ideato in pochi mesi di lavoro e che propone una nuova tipologia di vacanza legata alla forza rilassante della natura. Abbiamo costruito una collezione di prodotti in grado di uscire un po’ dalla normalità – come ecolodge, glamping o mobile home all’interno di aree verdi – tutti pensati da persone appassionate ed esperte in tematiche ambientali: un’idea originale e molto carina, in grado di stimolare il viaggiatore».
In conclusione, che messaggio si sente di dare ai nostri lettori che vorrebbero tornare a viaggiare e che ora si sentono un po’ confusi?
«Anche se è vero che da un lato c’è confusione, io ho notato che dall’altro la percentuale di persone che vuole ricominciare a viaggiare è altissima, e questo è un segnale molto confortante. Credo che quello che, più di tutto, può frenare la ripartenza è la paura dei pericoli sanitari, il pensiero che che stando a casa si rischi di meno. Il messaggio che voglio dare, allora, è proprio questo: tutti noi del turismo stiamo facendo uno sforzo enorme in termini di pulizia, di sanità, di attenzione ai protocolli, e nessuno di noi vuole mettere il cliente in pericolo. Proprio per questo, credo che il viaggiatore debba dare un po’ di fiducia a chi si sta impegnando in modo così importante.
Anzi, dirò di più: in considerazione di quanto le strutture turistiche italiane si stanno impegnando sul fronte della sanificazione e del rispetto delle linee guida, a mio avviso si è molto più al riparo dal virus alloggiando in un albergo che non frequentando i posti dove ci rechiamo nella vita quotidiana, come per esempio un supermercato. Il mio messaggio quindi è: non dobbiamo avere paura di tornare a viaggiare, personalmente credo che i rischi che correremo viaggiando saranno molto inferiori rispetto a quelli che affrontiamo già oggi nelle nostre città anche solo camminando per la strada».