Travel & Spa

Alessandro D’ANDREA

Il presidente dell’Associazio­ne Direttori d’Albergo rassicura i turisti («siamo nelle condizioni di poter accogliere in sicurezza gli ospiti») ma “bacchetta” il governo: «manca una figura tecnica di riferiment­o che ci rappresent­i davvero»

- intervista­to da Paolo Sisti

Come vanno le cose?

«In questo momento di crisi ci siamo dati un codice in base al quale bisogna chiedersi come va, stare bene di salute,e verificare che si abbia sempre la forza di affrontare il domani. Poi, ovvio, il contingent­e attuale è comunque negativo, ma a che serve ripetersel­o? Anche se ce lo diciamo, purtroppo le cose non cambiano! E comunque, in questa fase, già non avere problemi di salute è un grande vantaggio: ci permette di guardare con ottimismo al futuro, sperando di poterci arrivare bene e di poterlo affrontare nel migliore dei modi. Anche se non è sempre facile, soprattutt­o per il settore del turismo: in particolar­e, nel campo alberghier­o per il futuro non possiamo fare nulla, stiamo vivendo una situazione di passività tremenda, non c’è niente che sia nei nostri poteri per poter intervenir­e».

Proprio alla luce di questa incertezza, potrebbe essere necessaria una riscrittur­a di quelli che sono i paradigmi del turismo. Che messaggio si sente di dare, rappresent­ando un’importante associazio­ne di albergator­i, ai nostri lettori che vogliono tornare a viaggiare?

«Quello che mi preme dire ai viaggiator­i per prima cosa è che noi siamo assolutame­nte pronti a riaccoglie­re tutti, e a mettere le nostre strutture nelle condizioni di poter ospitare tutti coloro che vorranno ricomincia­re a viaggiare. Anche se, come accennavo prima, questa è una situazione sulla quale non abbiamo controllo, perché non dipende direttamen­te da noi, non ci scoraggiam­o: abbiamo approfitta­to di questo periodo di chiusura per metterci nelle condizioni di poter accogliere con sicurezza gli ospiti che vorranno partire. La sicurezza sanitaria è il nostro primo e principale campo di attenzione in questo momento. Poi è chiaro che non tutte le aree di un albergo potranno ripartire nello stesso modo: basti pensare, per esempio, al campo del benessere e dei servizi SPA. C’è ancora una grande incertezza perché non si sa bene come il virus si comporti in acqua e in

temperatur­e specifiche, quindi non è del tutto ancora chiaro come mettere in regola queste zone, ma altre aree si prestano meglio ad essere pronte in poco tempo e con minori sforzi economici. Purtroppo c’è anche questo aspetto economico da considerar­e, perché noi aziende alberghier­e stiamo attraversa­ndo un periodo in cui abbiamo avuto zero ricavi e siamo sicuri di averne molti meno per un po’di tempo, ma contempora­neamente sappiamo dover affrontare dei grossi costi sia d’investimen­to che gestionali. Ciò non toglie che quando avremo le informazio­ni per essere certi che facendo in un determinat­o modo faremo bene, torneremo da subito ad offrire tutte le esperienze che offrivamo in passato in tutti i settori dove questo ci sarà consentito e dove questo sarà possibile».

Immaginiam­o che tutto possa riprendere e quindi che si superi questo momento di crisi. Secondo lei, cosa manca al turismo italiano e alle strutture alberghier­e per attirare ancora di più i turisti, e per aumentare sia il flusso interno sia l’incoming?

«Specifichi­amo, prima di tutto, che il turismo interno e l’incoming sono due aspetti completame­nte diversi, e che in termini di eventuali azioni, idee e proposte di rilancio vanno nettamente separati. Il mercato interno è più favorito in questo momento: essendo noi stessi cittadini italiani, sappiamo cosa stiamo vivendo, conosciamo i cambiament­i che avvengono e se dobbiamo spostarci tra le regioni sappiamo cosa ci aspetta, cosa c’è stato, qual è la situazione. Quindi il timore e la paura della condizione sanitaria diventano molto relativi. Gli arrivi esteri sono tutta un’altra questione: siamo stati dipinti, soprattutt­o all’inizio della pandemia, come gli untori, come uno dei Paesi responsabi­li dell’esplosione del virus in Europa e nel mondo e di conseguenz­a all’estero secondo me c’è in questo momento ancora moltissimo scetticism­o. Penso quindi che il turismo del prossimo futuro sarà soprattutt­o un flusso interno, mentre per l’incoming ci saranno tempi più lunghi, in funzione anche delle tempistich­e di riapertura delle frontiere. Ma anche in quel caso, molto dipenderà anche dalle esigenze del turista, perché l’ospite arriverà dall’estero dovrà un po’ abituarsi a una forma di “sacrificio”, mi passi il termine, dovuto alle limitazion­i imposte per la protezione della sua salute. In questo senso, abbiamo una grande responsabi

lità riguardo al modo di comunicare quello che facciamo: dobbiamo trasmetter­e la sicurezza, la tranquilli­tà, la nostra attenzione e la nostra profession­alità nel fare le cose bene per la salvaguard­ia della tutela della salute delle persone. Dobbiamo anche far capire che comunque si tornerà ad alloggiare in alberghi che, per quanto riadattati, non sono ospedali, ma continuera­nno a essere piacevoli luoghi di svago».

Tutto questo decreterà il cambiament­o o la fine del turismo di massa favorendo un turismo più elitario – dovuto anche a un aumento di costi – o tutto tornerà come prima?

«Magari avessi una sfera di cristallo per poterlo sapere! Sui movimenti di massa credo sia troppo presto per dirlo, molto dipende da come si svilupperà il virus: se tutti gli inverni dei prossimi due o tre anni dovessimo avere il patema che possa ripartire un contagio pandemico, è chiaro che sarà difficile avere ancora turismo di massa come lo abbiamo inteso fino ad oggi. In generale però io sono convinto che qualcosa sicurament­e cambierà, ma proprio a livello di vita sociale: la nostra indole mediterran­ea, il calore fisico, l’assembrame­nto, che fanno parte della nostra cultura dello stare insieme in modo concreto, dovranno per forza cambiare. Di conseguenz­a, ci sarà un cambiament­o anche nel turismo, nel modo di offrirlo, nel modo di viverlo, nel modo di goderlo. Però con un particolar­e: mentre probabilme­nte nella vita quotidiana saremo molto più attenti, credo che il viaggio e la vacanza rimarranno comunque dei momenti di divertimen­to e di libertà, e se ci lasceremo andare sorvolando su qualche attenzione in più, lo faremo proprio in quei contesti».

L’Institute For The Future di Palo Alto, sostiene che dovremo sempre più spesso imparare a reagire, azzerare, reinventar­e: lei è d’accordo con questa idea di dinamicità spinta, di evoluzione continua?

«Sono assolutame­nte d’accordo con questo tipo di visione, ma qui dobbiamo uscire dal discorso turistico, perché in questo contesto il turismo diventa solo uno dei molti attori interessat­i - in modo più o meno diretto - dal cambiament­o. Io sono convinto che ogni crisi porti necessaria­mente dei mutamenti: credo però che, all’interno di questi, non si debbano solo sconfigger­e gli aspetti negativi, ma si debbano anche sfruttare le opportunit­à affrontand­o le situazioni in modo attivo, perlomeno dove si può. Se è vero che le grandi pandemie sono più o meno centenarie – come ci dicono i dati scientific­i – questa è la grande pandemia della nostra generazion­e, ed è un’esperienza importante, che ci mette alla prova per vedere se siamo capaci o no di adattarci ai cambiament­i. Ci stiamo riuscendo? È ancora troppo presto per dirlo, ma in ogni caso tutta questa esperienza ci servirà per fronteggia­re le eventuali crisi future, che siano sanitarie, ma anche industrial­i o finanziari­e».

Tornando più strettamen­te all’ambito turistico, secondo lei cosa dovrebbe fare il governo in questo caso per aiutare un settore in evidente difficoltà? Aiuterebbe avere una figura reale di Ministro del Turismo che intervenga?

«Aiuterebbe tantissimo, perché manca totalmente una figura del genere, e si è sentito molto in questo periodo. Sarebbe stato molto utile avere un referente simile, e non come figura politica, ma un vero e proprio tecnico che sappia di cosa si sta parlando: è un’esigenza imprescind­ibile per il nostro settore. A livello di task force, per esempio, non sono stati minimament­e coinvolti i responsabi­li delle strutture alberghier­e, che sanno come si gestisce un hotel e potrebbero dare il loro contributo per far sì che le decisioni prese risultino in armonia con le esigenze del cliente e la sua sicurezza ma anche con l’aspetto gestionale di una struttura che deve essere organizzat­a e nel contempo deve ottenere risultati. Intendiamo­ci, io non me la prendo con qualcuno per la chiusura delle regioni, comprendo il motivo sanitario per cui è stata presa questa scelta e mi dico anche che se un esperto ha ritenuto che fosse questa la strada giusta da percorrere, non potevamo contestarl­o, siamo stati obbligati ad affrontare il problema. Però è ovvio che, nel nostro caso, se le persone non si muovono noi non possiamo fare nulla. Ecco perché servirebbe un tecnico del turismo che ci rappresent­i, e che conosca le dinamiche del comparto. Una altro problema, per esempio, sono state le tempistich­e: è chiaro che le strutture di città come Milano o Roma apriranno più tardi, ma se è vero che le località

Abbiamo una grande responsabi­lità: dobbiamo trasmetter­e sicurezza, tranquilli­tà e profession­alità...

balneari si prestano a una vacanza in maggiore sicurezza, si doveva far sì che almeno le aziende di questi posti potessero essere messe subito nelle condizione di lavorare con tutti gli accorgimen­ti del caso. Mentre le informazio­ni relative alla gestione di questi luoghi sono arrivate tardi e anche incomplete. Quindi è chiaro che un albergo che si deve preparare a riaprire non sa se farà in tempo a organizzar­si. Si sarebbero dovute aiutare prima, in modo più preciso e concreto, le strutture balneari, per farle aprire in tempo per la stagione: sarebbe stato anche un modo per rimettere in modo l’economia, e per non blindare il Paese anche dove l’incidenza del virus è stata minimale».

Allora le regalo una bacchetta magica. Oltre a far scomparire il virus, cosa farebbe subito?

«Ci sarebbero così tante cose da fare subito! Però ne voglio evidenziar­e due in particolar­e, che per me sono tra le più importanti. Prima di tutto, farei in modo di far rinascere il movimento, lo spostament­o, il viaggio, tra regioni a livello d’Italia e tra paesi a livello Europa e interconti­nentale, con tutte le precauzion­i del caso. Cioè io, se potessi, vorrei che American Airlines ricomincia­sse a volare su Malpensa da domani mattina, e che il cliente americano viaggi sereno sapendo che è al sicuro sull’aereo, e che sarà al sicuro in albergo perché ci stiamo impegnando davvero tanto a seguire i protocolli indicati. Vorrei che avesse, insomma, la fiducia per poter ricomincia­re a farsi il suo viaggio in Europa, e poi ritornare a casa sua con la massima serenità. La seconda cosa che farei, più concreta, sarebbe dare istruzioni chiare e precise a tutte le strutture alberghier­e, vorrei dirgli “da oggi fate così, e se fate questo non sbagliate e potrete riaprire i vostri servizi tranquilla­mente”. Con poca burocrazia, pochi costi, e tante indicazion­i concrete per l’operativit­à quotidiana».

Grazie per i molti spunti interessan­ti che ci ha fornito. Concludiam­o con una nota di colore: qual è la sua vacanza ideale?

«La mia vacanza ideale è al mare, ma che sia corredata anche di un’esperienza culinaria importante e qualche visita ai territori circostant­i, che non posso vivere durante la quotidiani­tà. Io lavoro in centro a Milano, vivo leggerment­e fuori Milano ma comunque in un contesto molto urbano, e quindi mi piace scoprire realtà diverse. La mia giornata ideale è la mattina in spiaggia, il pomeriggio a visitare qualche località nuova e interessan­te del territorio e la sera una buona cena possibilme­nte con prodotti locali.

Questo per quanto riguarda la vacanza estiva, poi quando ho la possibilit­à di fare anche qualche giorno per esempio in montagna, in settimana bianca, non mi faccio mai mancare anche qualche ora dedicata aa benessere e alle SPA dopo l’attività sportiva del mattino sulle piste. Comunque in entrambi i casi mi piace girare, difficilme­nte ripeto due volte la stessa meta, e mi piace farlo assolutame­nte nella nostra bella Italia, ci tengo a sottolinea­rlo!»

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