Alessandro D’ANDREA
Il presidente dell’Associazione Direttori d’Albergo rassicura i turisti («siamo nelle condizioni di poter accogliere in sicurezza gli ospiti») ma “bacchetta” il governo: «manca una figura tecnica di riferimento che ci rappresenti davvero»
Come vanno le cose?
«In questo momento di crisi ci siamo dati un codice in base al quale bisogna chiedersi come va, stare bene di salute,e verificare che si abbia sempre la forza di affrontare il domani. Poi, ovvio, il contingente attuale è comunque negativo, ma a che serve ripeterselo? Anche se ce lo diciamo, purtroppo le cose non cambiano! E comunque, in questa fase, già non avere problemi di salute è un grande vantaggio: ci permette di guardare con ottimismo al futuro, sperando di poterci arrivare bene e di poterlo affrontare nel migliore dei modi. Anche se non è sempre facile, soprattutto per il settore del turismo: in particolare, nel campo alberghiero per il futuro non possiamo fare nulla, stiamo vivendo una situazione di passività tremenda, non c’è niente che sia nei nostri poteri per poter intervenire».
Proprio alla luce di questa incertezza, potrebbe essere necessaria una riscrittura di quelli che sono i paradigmi del turismo. Che messaggio si sente di dare, rappresentando un’importante associazione di albergatori, ai nostri lettori che vogliono tornare a viaggiare?
«Quello che mi preme dire ai viaggiatori per prima cosa è che noi siamo assolutamente pronti a riaccogliere tutti, e a mettere le nostre strutture nelle condizioni di poter ospitare tutti coloro che vorranno ricominciare a viaggiare. Anche se, come accennavo prima, questa è una situazione sulla quale non abbiamo controllo, perché non dipende direttamente da noi, non ci scoraggiamo: abbiamo approfittato di questo periodo di chiusura per metterci nelle condizioni di poter accogliere con sicurezza gli ospiti che vorranno partire. La sicurezza sanitaria è il nostro primo e principale campo di attenzione in questo momento. Poi è chiaro che non tutte le aree di un albergo potranno ripartire nello stesso modo: basti pensare, per esempio, al campo del benessere e dei servizi SPA. C’è ancora una grande incertezza perché non si sa bene come il virus si comporti in acqua e in
temperature specifiche, quindi non è del tutto ancora chiaro come mettere in regola queste zone, ma altre aree si prestano meglio ad essere pronte in poco tempo e con minori sforzi economici. Purtroppo c’è anche questo aspetto economico da considerare, perché noi aziende alberghiere stiamo attraversando un periodo in cui abbiamo avuto zero ricavi e siamo sicuri di averne molti meno per un po’di tempo, ma contemporaneamente sappiamo dover affrontare dei grossi costi sia d’investimento che gestionali. Ciò non toglie che quando avremo le informazioni per essere certi che facendo in un determinato modo faremo bene, torneremo da subito ad offrire tutte le esperienze che offrivamo in passato in tutti i settori dove questo ci sarà consentito e dove questo sarà possibile».
Immaginiamo che tutto possa riprendere e quindi che si superi questo momento di crisi. Secondo lei, cosa manca al turismo italiano e alle strutture alberghiere per attirare ancora di più i turisti, e per aumentare sia il flusso interno sia l’incoming?
«Specifichiamo, prima di tutto, che il turismo interno e l’incoming sono due aspetti completamente diversi, e che in termini di eventuali azioni, idee e proposte di rilancio vanno nettamente separati. Il mercato interno è più favorito in questo momento: essendo noi stessi cittadini italiani, sappiamo cosa stiamo vivendo, conosciamo i cambiamenti che avvengono e se dobbiamo spostarci tra le regioni sappiamo cosa ci aspetta, cosa c’è stato, qual è la situazione. Quindi il timore e la paura della condizione sanitaria diventano molto relativi. Gli arrivi esteri sono tutta un’altra questione: siamo stati dipinti, soprattutto all’inizio della pandemia, come gli untori, come uno dei Paesi responsabili dell’esplosione del virus in Europa e nel mondo e di conseguenza all’estero secondo me c’è in questo momento ancora moltissimo scetticismo. Penso quindi che il turismo del prossimo futuro sarà soprattutto un flusso interno, mentre per l’incoming ci saranno tempi più lunghi, in funzione anche delle tempistiche di riapertura delle frontiere. Ma anche in quel caso, molto dipenderà anche dalle esigenze del turista, perché l’ospite arriverà dall’estero dovrà un po’ abituarsi a una forma di “sacrificio”, mi passi il termine, dovuto alle limitazioni imposte per la protezione della sua salute. In questo senso, abbiamo una grande responsabi
lità riguardo al modo di comunicare quello che facciamo: dobbiamo trasmettere la sicurezza, la tranquillità, la nostra attenzione e la nostra professionalità nel fare le cose bene per la salvaguardia della tutela della salute delle persone. Dobbiamo anche far capire che comunque si tornerà ad alloggiare in alberghi che, per quanto riadattati, non sono ospedali, ma continueranno a essere piacevoli luoghi di svago».
Tutto questo decreterà il cambiamento o la fine del turismo di massa favorendo un turismo più elitario – dovuto anche a un aumento di costi – o tutto tornerà come prima?
«Magari avessi una sfera di cristallo per poterlo sapere! Sui movimenti di massa credo sia troppo presto per dirlo, molto dipende da come si svilupperà il virus: se tutti gli inverni dei prossimi due o tre anni dovessimo avere il patema che possa ripartire un contagio pandemico, è chiaro che sarà difficile avere ancora turismo di massa come lo abbiamo inteso fino ad oggi. In generale però io sono convinto che qualcosa sicuramente cambierà, ma proprio a livello di vita sociale: la nostra indole mediterranea, il calore fisico, l’assembramento, che fanno parte della nostra cultura dello stare insieme in modo concreto, dovranno per forza cambiare. Di conseguenza, ci sarà un cambiamento anche nel turismo, nel modo di offrirlo, nel modo di viverlo, nel modo di goderlo. Però con un particolare: mentre probabilmente nella vita quotidiana saremo molto più attenti, credo che il viaggio e la vacanza rimarranno comunque dei momenti di divertimento e di libertà, e se ci lasceremo andare sorvolando su qualche attenzione in più, lo faremo proprio in quei contesti».
L’Institute For The Future di Palo Alto, sostiene che dovremo sempre più spesso imparare a reagire, azzerare, reinventare: lei è d’accordo con questa idea di dinamicità spinta, di evoluzione continua?
«Sono assolutamente d’accordo con questo tipo di visione, ma qui dobbiamo uscire dal discorso turistico, perché in questo contesto il turismo diventa solo uno dei molti attori interessati - in modo più o meno diretto - dal cambiamento. Io sono convinto che ogni crisi porti necessariamente dei mutamenti: credo però che, all’interno di questi, non si debbano solo sconfiggere gli aspetti negativi, ma si debbano anche sfruttare le opportunità affrontando le situazioni in modo attivo, perlomeno dove si può. Se è vero che le grandi pandemie sono più o meno centenarie – come ci dicono i dati scientifici – questa è la grande pandemia della nostra generazione, ed è un’esperienza importante, che ci mette alla prova per vedere se siamo capaci o no di adattarci ai cambiamenti. Ci stiamo riuscendo? È ancora troppo presto per dirlo, ma in ogni caso tutta questa esperienza ci servirà per fronteggiare le eventuali crisi future, che siano sanitarie, ma anche industriali o finanziarie».
Tornando più strettamente all’ambito turistico, secondo lei cosa dovrebbe fare il governo in questo caso per aiutare un settore in evidente difficoltà? Aiuterebbe avere una figura reale di Ministro del Turismo che intervenga?
«Aiuterebbe tantissimo, perché manca totalmente una figura del genere, e si è sentito molto in questo periodo. Sarebbe stato molto utile avere un referente simile, e non come figura politica, ma un vero e proprio tecnico che sappia di cosa si sta parlando: è un’esigenza imprescindibile per il nostro settore. A livello di task force, per esempio, non sono stati minimamente coinvolti i responsabili delle strutture alberghiere, che sanno come si gestisce un hotel e potrebbero dare il loro contributo per far sì che le decisioni prese risultino in armonia con le esigenze del cliente e la sua sicurezza ma anche con l’aspetto gestionale di una struttura che deve essere organizzata e nel contempo deve ottenere risultati. Intendiamoci, io non me la prendo con qualcuno per la chiusura delle regioni, comprendo il motivo sanitario per cui è stata presa questa scelta e mi dico anche che se un esperto ha ritenuto che fosse questa la strada giusta da percorrere, non potevamo contestarlo, siamo stati obbligati ad affrontare il problema. Però è ovvio che, nel nostro caso, se le persone non si muovono noi non possiamo fare nulla. Ecco perché servirebbe un tecnico del turismo che ci rappresenti, e che conosca le dinamiche del comparto. Una altro problema, per esempio, sono state le tempistiche: è chiaro che le strutture di città come Milano o Roma apriranno più tardi, ma se è vero che le località
Abbiamo una grande responsabilità: dobbiamo trasmettere sicurezza, tranquillità e professionalità...
balneari si prestano a una vacanza in maggiore sicurezza, si doveva far sì che almeno le aziende di questi posti potessero essere messe subito nelle condizione di lavorare con tutti gli accorgimenti del caso. Mentre le informazioni relative alla gestione di questi luoghi sono arrivate tardi e anche incomplete. Quindi è chiaro che un albergo che si deve preparare a riaprire non sa se farà in tempo a organizzarsi. Si sarebbero dovute aiutare prima, in modo più preciso e concreto, le strutture balneari, per farle aprire in tempo per la stagione: sarebbe stato anche un modo per rimettere in modo l’economia, e per non blindare il Paese anche dove l’incidenza del virus è stata minimale».
Allora le regalo una bacchetta magica. Oltre a far scomparire il virus, cosa farebbe subito?
«Ci sarebbero così tante cose da fare subito! Però ne voglio evidenziare due in particolare, che per me sono tra le più importanti. Prima di tutto, farei in modo di far rinascere il movimento, lo spostamento, il viaggio, tra regioni a livello d’Italia e tra paesi a livello Europa e intercontinentale, con tutte le precauzioni del caso. Cioè io, se potessi, vorrei che American Airlines ricominciasse a volare su Malpensa da domani mattina, e che il cliente americano viaggi sereno sapendo che è al sicuro sull’aereo, e che sarà al sicuro in albergo perché ci stiamo impegnando davvero tanto a seguire i protocolli indicati. Vorrei che avesse, insomma, la fiducia per poter ricominciare a farsi il suo viaggio in Europa, e poi ritornare a casa sua con la massima serenità. La seconda cosa che farei, più concreta, sarebbe dare istruzioni chiare e precise a tutte le strutture alberghiere, vorrei dirgli “da oggi fate così, e se fate questo non sbagliate e potrete riaprire i vostri servizi tranquillamente”. Con poca burocrazia, pochi costi, e tante indicazioni concrete per l’operatività quotidiana».
Grazie per i molti spunti interessanti che ci ha fornito. Concludiamo con una nota di colore: qual è la sua vacanza ideale?
«La mia vacanza ideale è al mare, ma che sia corredata anche di un’esperienza culinaria importante e qualche visita ai territori circostanti, che non posso vivere durante la quotidianità. Io lavoro in centro a Milano, vivo leggermente fuori Milano ma comunque in un contesto molto urbano, e quindi mi piace scoprire realtà diverse. La mia giornata ideale è la mattina in spiaggia, il pomeriggio a visitare qualche località nuova e interessante del territorio e la sera una buona cena possibilmente con prodotti locali.
Questo per quanto riguarda la vacanza estiva, poi quando ho la possibilità di fare anche qualche giorno per esempio in montagna, in settimana bianca, non mi faccio mai mancare anche qualche ora dedicata aa benessere e alle SPA dopo l’attività sportiva del mattino sulle piste. Comunque in entrambi i casi mi piace girare, difficilmente ripeto due volte la stessa meta, e mi piace farlo assolutamente nella nostra bella Italia, ci tengo a sottolinearlo!»