Travel & Spa

Leonardo CAFFO

- intervista­to da Lucia Grassiccia

Errare è umano e lo è in ogni senso, poiché eccelliamo nell’ingannarci quanto nel peregrinar­e. Per ingannarci meno e vagare di più e in prossimità di una meta, vi invitiamo a una conversazi­one peripateti­ca in compagnia di Leonardo Caffo, giovane filosofo che nel solo 2020 ha dato alle stampe il suo ultimo romanzo, “Il cane e il filosofo” (Mondadori), il recente saggio “Quattro capanne o della semplicità” (nottetempo) e, lo scorso aprile, l’instant book scaricabil­e gratuitame­nte “Dopo il Covid-19” (nottetempo).

Come immagina Leonardo Caffo il mondo l’anno prossimo?

«Dipende: se ci sarà un vaccino o un antivirale, sarà un anno come i precedenti, senza nessuna nuova consapevol­ezza. Diversamen­te, forse avremo delle periodiche quarantene, magari si saranno sviluppate delle architettu­re ‘da Covid-19’, il traffico aeroportua­le cambierà a favore di un turismo locale. Senza una risoluzion­e immagino sempre di più un mondo a due misure. La Coca-Cola la bevono sia i ricchi che i poveri, diceva Andy Warhol, solo che i ricchi bevono cose che i poveri non bevono.»

Quali bisogni soddisfa viaggiare e perché speriamo di tornare a farlo presto senza limiti?

«Dipende da chi viaggia. Il bisogno primario soddisfatt­o dal viaggiare è quello di conoscere e scoprire luoghi che prima non

si conoscevan­o. Temo che finché dovremo convivere con questo virus si viaggerà meno per curiosità e più per necessità. Deleuze diceva che non voleva viaggiare perché i viaggi spezzano il divenire, cioè tagliano in due quello che si fa. Ma l’essere umano è viaggio, è nomadismo, al contrario di come spesso l’abbiamo raccontato. L’essere umano se non viaggia non esiste. Se le cose torneranno alla «normalità» ci sarà un boom, un’iperproduz­ione. Se invece non succederà bisognerà inventare radicalmen­te nuove forme di spostament­i, di turismo. Se non si capisce che ciò che ha creato questa alterazion­e (lo spillover che sembra all’origine della pandemia, n. d. r.) non era niente di normale, altrimenti l’alterazion­e non ci sarebbe stata, presto torneremo a quell’andazzo. Le epidemie si muovono con le nostre infrastrut­ture, con i nostri trasporti, si muovono a un ritmo che va messo in discussion­e. Potrebbe essere un punto di partenza per una riconsider­azione valoriale. Spesso la gente si è dovuta spostare anche per lavoro. Io ho viaggiato spesso per lavoro ma adesso è più chiaro che mai che in diverse occasioni sarebbe stato evitabile: prima prendevo due aerei per intervenir­e a una conferenza a cui ora partecipo tranquilla­mente con un collegamen­to da casa».

Libertà di spostament­o e turismo sono profondame­nte legati. Considerat­o che gli spostament­i rischiano di subire delle limitazion­i ancora per molto tempo, che genere di turismo avrà la meglio?

«A lungo periodo quello dei luoghi a noi vicini, che magari non abbiamo mai visitato. È un’occasione per scoprire quello che abbiamo sempre pensato di vedere un’altra volta e che quindi non abbiamo mai visto. Quante volte abbiamo detto «è vicino casa, prima o poi vado»! Ci potrebbe essere gente che appunto riscoprirà i luoghi vicini a sé e che magari si renderà conto di avere tutto quello che ha sempre cercato dietro casa. Scelte come queste non necessaria­mente hanno a che fare con la consapevol­ezza, talvolta sono dettate da una costrizion­e».

“È assolutame­nte necessario creare nuove prassi a partire da nuovi valori: si può fare, ed è un tema centrale anche per chi vorrà fare impresa o economia innovativa” hai scritto in Dopo il Covid-19. Per chi offre viaggi, trasferte, vacanze quali i nuovi valori e le nuove prassi che si potrebbero indicare?

«È necessaria immediatam­ente una nuova collaboraz­ione tra pubblico e privato. Le riviere, i luoghi turistici dovrebbero poter avere suolo pubblico gratuito, altrimenti molti luoghi spariranno. Le strutture alberghier­e dovrebbero chiedere allo Stato delle concession­i: potersi spingere nei parchi, nei laghi, poter usufruire dello spazio. Siamo nell’epoca dei monolocali milanesi pagati a caro prezzo, l’epoca che chiude molte cose in un piccolo spazio. Adesso è necessario avere poche cose in un grande spazio. Le strutture turistiche privilegia­te saranno quelle che potranno garantire questo comfort, che non dovrebbe essere connesso più solo al mondo del lusso, perché altrimenti molti non potranno muoversi. Non so se questa collaboraz­ione si potrà avviare ma credo che sia quella necessaria. Aspettarsi che le

L’essere umano è viaggio, è nomadismo, al contrario di come spesso l’abbiamo raccontato. L’essere umano se non viaggia non esiste.

cose tornino come prima in tempi rapidi ci farà sicurament­e cappottare. Se lo Stato mette mano alle infrastrut­ture, dà la possibilit­à di inventare, io sono ottimista. Se frena e non concede suolo pubblico né collabora con i privati, lo sono molto meno. Il rischio che si dovrebbe eliminare è che sopravviva­no solo le grandi corporate. Luoghi di conviviali­tà e cultura chiuderann­o ma Starbucks no. Purtroppo bisogna avere anche il coraggio di fallire».

La filosofia può intervenir­e nel modo di ripensare il settore del turismo?

«Al di là delle retoriche la filosofia in questo momento serve a interpreta­re i dati. I dati che vediamo sono fini a se stessi, vanno riorganizz­ati. Bisogna rinegoziar­e valori. Per esempio scegliere di fare uscire i 60enni invece che i 70enni è una scelta di utilitaris­mo, che è una concezione filosofica.

Ha più senso aprire e rischiare più contagi e nuove morti oppure restare fermi?

Ha più senso la vita o la sopravvive­nza?

Tutte queste sono scelte filosofich­e.

Inoltre coloro che sono abituati a viaggiare con la mente hanno un aiuto. Non sempre è necessario prendere un aereo per andare in Australia: è bellissimo e lo rifarei ma la distanza è un concetto estremamen­te relativo».

«Puoi fare un viaggio da A a B anche restando sulla sedia, solo che la nostra cultura è abituata a pensare diversamen­te. C’è un ottimismo profondo nella filosofia».

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Qui sotto: una delle illustrazi­oni di Carola Provenzano contenute nel libro “Quattro capanne o della semplicità”

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