Rodolfo MAGGIO
In questa estate 2020 all’insegna della voglia di riscatto indaghiamo con l’antropologo Rodolfo Maggio il nostro rapporto col viaggio, con le culture e con gli strumenti di cui il comparto del turismo può avvalersi per avvicinare i nostri desideri.
Quando si tornerà a viaggiare liberamente all’estero, il modo in cui ci si rapporterà ai cittadini di determinate nazionalità, come gli stessi italiani, potrà risentire delle informazioni che possediamo sulla diffusione del virus?
«La pandemia ha accomunato tutte le nazioni del mondo, questo ha una ricaduta negativa, perché siamo tutti dei potenziali infetti, però ha anche una ricaduta positiva, perché è un’esperienza che ci accomuna nell’essere, in un certo senso, tutti quanti vittima. Ho vissuto la discriminazione in prima persona, ero in partenza per un viaggio di lavoro all’estero il giorno in cui il governo italiano ha annunciato il lockdown. Ero sicuro di non essere infetto ma, giunto a destinazione, sentivo i miei colleghi molto tesi nei miei confronti. Come tutti i fenomeni di discriminazione, si attenuerà attraverso l’esperienza. C’è tuttavia un elemento virtuoso nel pregiudizio: se hai un pregiudizio nei confronti delle tigri come mangiatrici di uomini, questo ti preserva.
Non è detto che tutte le tigri mangino gli uomini e non è detto che mangino tutti i tipi di uomini, però è un pregiudizio che ti può salvare».
Spesso in vacanza amiamo entrare in contatto con la cultura locale, quindi con le persone. Il distanziamento può diventare un ostacolo fisico e metaforico? Quali strategie consiglieresti affinché si possa rispettarlo ma, paradossalmente, superarlo?
«La pandemia non sarà necessariamente un caso eccezionale, è una caratteristica di un mondo interconnesso. Più che trovare soluzioni che aiutino a vivere bene il viaggio anche in presenza di limitazioni sarà più facile abituarsi e diventare consapevoli che questa è la nuova normalità. A proposito di distanziamento, un mio collega ha sottolineato che quello che stiamo vivendo non è un distanziamento sociale, non siamo mai stati così sociali come adesso. Stiamo vivendo un distanziamento fisico, una cosa profondamente diversa. Se continuiamo a chiamarlo distanzia
mento sociale facciamo solo confusione».
Dal tuo punto di vista le abitudini che stiamo sviluppando, come l’uso massiccio della connessione a Internet per «incontrarsi» e la prossemica distanziata potranno gradualmente radicarsi nella nostra cultura?
«Non penso, queste tecnologie erano disponibili anche prima. Il fatto che siamo stati obbligati a usarle non significa che siano ottimali. Sappiamo da uno studio che ad esempio la comunicazione via videochiamata di una certa durata ha un impatto pesante sulla nostra energia. Da millenni siamo abituati ad ascoltare una persona che è davanti a noi in carne e ossa, mentre la parola ascoltata da un computer, anche solo per il ritardo con cui ci arriva, implica uno sforzo mentale al quale non siamo abituati. Per questo un sacco di gente è stanchissima dopo le videoriunioni».
L’antropologia potrebbe essere di sostegno alla ripartenza dell’imprenditoria nel settore del turismo?
«Per le compagnie può essere utile formare un impiegato che divenga l’etnografo in house e che possa individuare le nuove tendenze prima che emergano.
Un imprenditore si rapporta con il cliente ma soprattutto con i colleghi e i sottoposti. Le compagnie turistiche spesso hanno filiali in giro per il mondo, collaborare con persone di diverse culture crea sempre problemi di comunicazione, è necessaria una formazione in competenze interculturali. Sto trattando il caso della comunicazione social di due aziende viticole storiche, di cui una ha perso circa il 15% del proprio fatturato a causa di una errata comunicazione Twitter. Si è giocata il mercato cinese: a causa del Covid-19 sono stati cancellati degli ordini, le aziende hanno chiesto alla Cina, in quanto responsabile della pandemia, un risarcimento, condito di insinuazioni razziste. Hanno adottato una comunicazione molto diretta e accusato pubblicamente l’interlocutore, cosa che con il governo o con le compagnie cinesi non bisogna mai fare. È meglio comunicare, per quanto possibile, in modo indiretto, perché essere diretti per loro è una mancanza di rispetto. Siamo diversi e dobbiamo rispettare le nostre reciproche diversità».
L’antropologia può essere di aiuto anche a chi tornerà a viaggiare dopo un evento di dimensioni epocali come quello che stiamo attraversando?
«L’antropologa Jessica Symons ha ideato un metodo per fare etnografia del futuro: attraverso una tecnica di rilassamento permette di immaginare la propria città o altri posti ad esempio tra cento anni, e possibili soluzioni a problemi che sappiamo arriveranno. L’antropologia può farlo grazie alla sua metodologia di elezione, l’etnografia, anticipando lo studio statistico. Gli antropologi del turismo spesso lavorano in collaborazione con agenzie, tour operator o portali. Del resto l’antropologia si è sempre occupata di viaggio, può fare una riflessione profonda sul suo significato per l’essere umano e un discorso più scientifico per tracciare le tendenze. La ricerca dell’utente di un’esperienza di viaggio significativa secondo me è una tendenza che diventerà sempre più importante. Per capire cosa le persone cercano è necessario un rapporto profondo con loro.”
Mi spieghi meglio cosa intendi con esperienza di viaggio significativa?
«È molto soggettivo. Una caratteristica che personalmente amo del viaggio è dare la possibilità al caso di influenzarmi. Nella mia vita perennemente organizzata ne beneficio in salute mentale e fiducia nei confronti del futuro».