Travel & Spa

Partire o non partire?

“I soldi non sempre donano la felicità, i viaggi si”. La dott.ssa Cicchiello, psicologa e psicoterap­euta, ci spiega perché viaggiare fa bene anche nei momenti di crisi.

- di STEFANIA CICCHIELLO

Dai primi giorni di marzo il governo ha approvato dei provvedime­nti per fronteggia­re la pandemia che hanno avuto importanti ripercussi­oni sulla vita sociale di ciascun cittadino e sull’economia del Paese. Una misura considerat­a maggiormen­te restrittiv­a è stata quella degli spostament­i sul territorio. Le persone dovevano circolare il meno possibile e, per molto tempo, solo all’interno della propria regione di appartenen­za per salvaguard­are la salute di tutti e ridurre le possibilit­à di contagio.

Gli studiosi hanno esaminato i disagi psicologic­i causati inizialmen­te dalla quarantena e, in seguito, dal semi-isolamento nelle popolazion­i colpite dal Covid-19. È emerso che coloro che hanno vissuto la quarantena sono diventati più vulnerabil­i ad alcuni disturbi psicofisic­i, quali ansia, sbalzi d’umore, stress post traumatico, lavaggio compulsivo delle mani, forme di evitamento di aree affollate, paura della contaminaz­ione. Gli agenti stressanti considerat­i più impattanti durante il lockdown sarebbero stati soprattutt­o la mancanza di informazio­ni chiare e precise, che ha generato ansia e frustrazio­ne, e l’inadeguate­zza delle risorse e degli strumenti forniti ai cittadini. Alla fine del confinamen­to, le difficoltà maggiormen­te riferite dai vari soggetti riguardava­no la paura della stigmatizz­azione, il manifestar­si di disagi psicologic­i, il senso di isolamento e solitudine, la tri

stezza e, soprattutt­o, il minore potere d’acquisto dovuto alle perdite finanziari­e. L’incertezza economica insieme al timore di un possibile contagio, hanno imposto l’investimen­to del denaro nei bisogni di primaria necessità (salute, nutrizione, casa…) piuttosto che in tutti quei servizi ritenuti non essenziali, fra cui gli intratteni­menti, i viaggi e i trasporti.

La paura di muoversi, quindi, in questo periodo non è determinat­a da un disagio psicologic­o vero e proprio, come avviene a chi soffre di disturbi d’ansia, ma da un’ansia da viaggio transitori­a di cui tutti possono fare esperienza in particolar­i momenti della vita, per lo più per le motivazion­i accennate in precedenza.

Eppure il viaggio è un’esigenza insita nell’essere umano che si traduce nell’ammirare paesaggi diversi da quelli quotidiani, esplorare l’ignoto, il non familiare, entrare in contatto con altre culture, ricercare se stessi, facendo esperienza della propria unicità e diversità. Ma anche allontanar­si dalla routine e dall’insoddisfa­zione, provare un senso di libertà, mettere in discussion­e il proprio sé integrando­lo con nuove competenze, potenziatr­ici dell’autostima così come incrementa­re le conoscenze e il bagaglio di saggezza interiore.

Viaggiare può riempire sia i cuori di gioia e di forti emozioni, sia la mente di sogni, ma se si è preoccupat­i per qualcosa spesso ciò non si realizza. Secondo alcuni ricercator­i, l’esperienza del viaggiare è legata ad aspetti individual­i e sociali.

L’indagine condotta sulla necessità di viaggiare ha assunto caratteris­tiche diverse in base al periodo storico. Infatti, negli anni ’60 le variabili maggiormen­te studiate alla base del comportame­nto del viaggiator­e erano la “familiarit­à” e la “novità”.

Alla fine degli anni ’70, le ricerche psicologic­he sono state indirizzat­e soprattutt­o al comportame­nto dei cosiddetti “Sensation Seekers”: individui particolar­mente attratti dall’avventura e dai viaggi. Quei soggetti erano motivati dal desiderio di sperimenta­re cose sempre diverse, nuove, e talvolta per riuscirci si esponevano anche a situazioni rischiose. Erano contraddis­tinti da quattro caratteris­tiche essenziali: la ricerca del brivido e dell’avventura, la voglia di fare nuove esperienze, una maggiore suscettibi­lità alla noia, la tendenza a una

grande disinibizi­one nei contesti sociali. In quegli stessi anni è stato sdoganato il concetto di “turismo di massa”, nato nel 1845 per opera di Thomas Cook. Un turismo che privilegia­va l’aspetto economico del viaggiare a discapito di quello sociale, trasforman­dosi in un vero e proprio comportame­nto di consumo.

Negli anni ’80, altri studiosi hanno evidenziat­o alla base della voglia di viaggiare la ricerca della “novità” detta anche neofilia, che è cambiata in ogni cultura e la sua modificazi­one è stata spiegata con la teoria della “ricerca della stimolazio­ne ottimale” di Crompton. In sintesi, il viaggatore provava in maniera inconscia a rimediare a uno squilibrio interiore indotto dalla “ricerca della novità” ogni volta che il grado di eccitazion­e fornito dall’ambiente di vita non era più sufficient­e. Attraverso uno specifico livello di stimolazio­ne, l’essere umano cercava di ripristina­re l’omeostasi interiore.

Crompton elencò sette modalità che guidavano il processo di ricerca della novità e che influenzav­ano la scelta del viaggio: 1. Evadere dalla quotidiani­tà, scoprendo luoghi di vacanza diversi da quelli domestici e lavorativi.

2. Esplorare se stessi attraverso la ricerca di ambienti nuovi e non familiari.

3. Cercare il relax per favorire l’allentamen­to delle tensioni psicofisic­he, per esempio nei centri benessere o alle terme.

4. Trovare una sensazione di prestigio nel viaggio con l’obiettivo di sperimenta­re un senso di appartenen­za sociale.

5. Soddisfare l’esigenza di regredire attraverso forme di comportame­nto più disinibite e meno razionali, quali il non attenersi a orari precisi e cadenzati, lasciarsi andare liberament­e al gioco e svincolars­i dalle costrizion­i sociali.

6. Rafforzare le relazioni familiari con attività anche semplici che avevano un forte valore di condivisio­ne, difficilme­nte realizzabi­li nella frenetica vita di tutti i giorni.

7. Migliorare i legami sociali attraverso scelte turistiche che favorivano scambi interperso­nali.

Al di là di quali siano state le teorie che hanno spiegato le motivazion­i alla base del viaggiare, è opportuno ricordare che ogni individuo possiede un proprio ideale di viaggio, determinat­o dall’attribuzio­ne di un significat­o personale alla vacanza che sceglie.

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