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Chris Cornell

LOLLAPALOO­ZA FESTIVAL, 1992

- Carmen Scotti

Chioma al vento e una voce così rabbiosa da spaccare il cielo. Questo sono io, Chris Cornell, innamorato della musica a tal punto da superare tutti i miei limiti, timidezza compresa, quando sul palco trovo l’abbraccio del pubblico. Fino a qualche anno fa non ero che un povero ragazzo depresso, e chissà cosa sarebbe stato di me, senza una chitarra a salvarmi la vita. A dodici anni, dopo il divorzio dei miei, cominciai a farmi di allucinoge­ni e a bazzicare la strada, tra furtarelli e birra a fiumi, fino a quando non incontrai i Beatles. O meglio, i loro dischi che qualcuno aveva abbandonat­o in un seminterra­to. Fu come trovare un tesoro: me li portai a casa e per due anni non ascoltai altro che i Fab Four. «Non importa cosa dovrò fare per riuscirci, io voglio scrivere canzoni» mi dissi un giorno. Per pagarmi le lezioni di musica trovai lavoro da un grossista di pesce e intanto componevo tutto il giorno canzoni nella mia testa. Da lì passai a fare il cuoco in un ristorante: non solo mangiavo gratis, ma riuscii anche a pagarmi l’affitto e a comprare il mio primo amplificat­ore.

UNA CHITARRA E LA MIA RABBIA

Il sogno di fare musica era alle porte, e nel 1984 io, Kim Thayil e Ben Shepherd fondammo i Soundgarde­n, grinta post punk, ruvidezza metal stile Black Sabbath e una spruzzata di rock psichedeli­co. Pensavo che avrei adorato il successo, e invece lo detesto. La gente crede che tu abbia una Jacuzzi piena di soldi e una Ferrari in garage, e quando spieghi che non è così, pensano che tu sia un ipocrita.Tutto ciò che mi interessa è con me su questo palco: una band, una chitarra e la mia rabbia da urlare al microfono. Un modo per celebrare la bellezza e il dolore, la vita ma anche il suo opposto. “Gesù, vado a preparare il mio letto di morte” canto in chiusura del concerto (In MyTime Of Dying, brano gospel degli anni 20 eseguito anche poco prima di togliersi la vita, ndr). So che la fine cammina al mio fianco e per questo le dedico sempre una canzone.

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