I miei preferiti si chiamano Kevin
KEVIN SPACEY IN TELEVISIONE FA UN PRESIDENTE DIABOLICO, TORNA AL CINEMA NEL RUOLO DI UN BOSS. E NELLA VITA VERA? È UN TIPO SPIRITOSO E ALLERGICO ALLA FAMA. TANTO, QUANDO LO SCAMBIANO PER UN ATTORE CON LO STESSO NOME, È COSÌ FELICE...
SStiamo parlando con Kevin Spacey o con l’astuto presidente americano di House of Cards? Anche se il protagonista della serie cult non vuole confondersi col suo personaggio, qualcosa in comune tra i due c’è: lo sguardo ironico, l’aria sarcastica. Ma continuando la chiacchierata, Spacey mostra tutta l’umanità che il diabolico politico continua a calpestare anche nella quinta stagione in onda su Sky Atlantic. E tutta la sua versatilità umana e professionale: a 58 anni (li compie il 26 luglio), l’attore due volte premio Oscar (per I soliti sospetti e American Beauty) ha in curriculum oltre 80 titoli per il grande e il piccolo schermo, oltre a una brillante carriera teatrale e musicale (ha cantato in vari teatri, spesso per beneficenza). Il 7 settembre torna nei cinema nel ruolo di un criminale nella commedia Baby Driver - Il genio della fuga.
È un presidente degli States in House of Cards, un boss in Baby Driver, e nella realtà è stato il direttore di un teatro, l’Old Vic di Londra. Secondo lei le qualità di un leader si somigliano in ogni campo?
«Il filo rosso è la capacità di prendersi le proprie responsabilità senza tirarsi mai indietro: ci sono persone che dovrebbero esprimere leadership e invece non entrano mai nel ruolo».
Che cosa pensa dell’attuale inquilino della Casa Bianca, Donald Trump?
«Se vuole farmi parlare del vero presidente Usa, sappia che non le darò soddisfazione».
Lei è stato amico di Bill Clinton e si è spesso esposto politicamente. L’amicizia ha in qualche modo lasciato una traccia nella serie tv?
«Ho frequentato l’ex presidente per tanti anni, abbiamo parlato di molte cose ma mai di House of
Cards, anche se ho saputo che gli piace. Per costruire il mio personaggio è stato utile incontrare un altro uomo politico: il repubblicano Kevin McCarthy».
Sul piano personale ha imparato qualcosa da Frank Underwood (il presidente che interpreta, ndr)?
«Non amo i paralleli tra i miei personaggi e la mia vita. Però condivido uno dei suoi motti: “Se non ti piace com’è messa la tavola, rovesciala”».
Quando ha pensato di “rovesciare la tavola”? Forse durante la sua lunga gavetta, prima del successo?
«La tentazione in effetti c’è stata: ho avuto momenti difficili e periodi di disoccupazione, ma ho testo di Peter Sheenan - foto di Wilson Webb
sempre pensato che le soddisfazioni, prima o poi, sarebbero arrivate. Mai fatto un piano B: il mio destino volevo costruirmelo io, su misura».
Da adolescente, per un paio di anni, ha frequentato una scuola militare: un’esperienza che dà forza e autostima?
«No, quel tipo di formazione non fa proprio per me: i militari possono insegnarti solo la disciplina, ma in quello ero già forte di mio. Sono stati altri gli incontri decisivi: insegnanti e mentori che hanno creduto in me nelle scuole e nei workshop di recitazione che ho frequentato dai 12 ai 19 anni. È lì che ho costruito le mie basi».
Hollywood non sembra un posto per gente umile: come ha fatto, negli anni, a non montarsi la testa?
«Sono stato fortunato. Ho visto molte persone diventare celebri e, nel passaggio, anche arroganti. Ma il mio modello è sempre stato Jack Lemmon, che a 13 anni mi ha cambiato la vita: l’ho incontrato durante un workshop e mi ha incoraggiato ad andare avanti. È la persona più dolce e generosa che abbia conosciuto, senza una goccia di vanagloria. Creava un’atmosfera così positiva da spingere tutti a dare il meglio di sé».
Anche lei, come Lemmon, ha vinto due Oscar. Le statuette inorgogliscono?
«Di sicuro sono stati i più grandi riconoscimenti della mia carriera... Però non cambiano le cose importanti, il corso della vita».
La sua Kevin Spacey Foundation offre insegnamento e sostegno a giovani talenti. Che rapporto ha con gli aspiranti attori?
«Non mi metto lì a fare la paternale da nonno: i ragazzi sono svegli abbastanza da trovare la loro strada anche da soli. Però con loro parlo di quanto sia importante avere cura del proprio lavoro ed essere coerenti nelle scelte».
Lei com’era a 20 anni?
«Facevo teatro, mi sono dedicato esclusivamente a quello per anni. I primi film li ho girati verso i 30 e non sono stati un granché. Un ventenne di oggi può fare esperienze prima e su più fronti».
La celebrità era una meta?
«Macché. Detesto quella parola. Pensi che spesso mi confondono con altri Kevin di Hollywood: Kevin Bacon, Kevin Costner, Kevin Kline. Pazienza: sono comunque tra i miei preferiti».
Non è quasi mai nelle notizie di gossip.
«Già, forse perché la mia routine è normale e noiosa per i tabloid. E poi ho sempre difeso il diritto alla privacy. (della sua vita sentimentale si sa così poco che, anni fa, alcuni giornali hanno ipotizzato fosse gay, cosa che lui ha smentito pubblicamente, ndr)».
È vero che, a inizio carriera, ha fatto anche il comico?
«Sì, ho fatto cabaret fra i 18 e i 19 anni. Bello e massacrante: mi piace far ridere la gente, ma riuscirci per mesi o anni, è cosa che solo i geni possono fare».
E pensare che durante le interviste sembra un tipo così serio...
«Questo dipende anche da voi giornalisti. Alle domande serie rispondo seriamente, perché se facessi una battuta potrebbe essere presa alla lettera e, una volta scritta, perderebbe tutto lo humor. E le assicuro che mi spiacerebbe, perché io sono mooolto divertente!».
❝Non
sono mai nei tabloid o nelle notizie di gossip: detesto l’idea della celebrità e ho sempre difeso la mia privacy. E cinema a parte, faccio una vita normalissima