Filippo Nigro Non ci sono più i Berlinguer di una volta
S«Sono sempre sembrato uno molto gentile, ma un mio amico una volta mi disse, ridendo, che vivo sotto mentite spoglie». Nello sguardo e nella voce di Filippo Nigro affiora, infatti, un approccio sanguigno alle cose della vita e del lavoro: è un uomo mosso da passioni forti, ma incanalate in cortesia e pacatezza. Romano, 46 anni, dopo aver interpretato un ragazzo omosessuale in Le fate ignoranti, uno scambista nel controverso E la chiamano estate e il poliziotto fascista in Acab, adesso Nigro è il consigliere comunale Amedeo Cinaglia nella serie tv Netflix Suburra (disponibile dal 6 ottobre), resoconto noir della lotta per il potere all’ombra della Città Eterna tra criminalità organizzata, politici corrotti eVaticano. Diretto da Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi, Suburra ha nel cast anche Alessandro Borghi, Claudia Gerini, Francesco Acquaroli e Giacomo Ferrara. Chi è Amedeo Cinaglia? «È un politico di piccolo cabotaggio, un uomo frustrato, sempre alla ricerca di un riconoscimento. Chiede spesso aiuto alla ex moglie (Lucia Mascino,
ndr), che invece è una parlamentare importante, e si è risposato con una donna più giovane (Rosa Diletta Rossi, ndr), con cui ha due figli». Sembra essere l’unico personaggio non corrotto... «È vero, ma è anche vero che difficilmente qualcuno è completamente puro in questa serie. E Amedeo, facendo il politico, al primo impatto non fa simpatia proprio a nessuno». I politici ormai non ispirano altro che sfiducia? «Quando io ero piccolo avevo delle figure di riferimento, come Enrico Berlinguer. Adesso mi sembra impensabile che un ragazzino possa davvero stimare un politico ed emozionarsi quando lo sente parlare». Il suo Cinaglia, comunque, è destinato a cambiare... «Si rende conto di come viene visto dalla moglie e dal partito e inizia a montargli una grandissima insoddisfazione: sa di non essere niente, nessuno, nemmeno come “bad guy”, perciò viene attratto dal potere». Ha cercato qualche modello a cui ispirarsi? «Sembrerà strano, ma ho pensato molto al per-
sonaggio di JohnTurturro in The Night
Of, una serie meravigliosa. Potrebbe essere un avvocato di grido, è una brava persona, ti viene naturale tifare per lui. Però viene considerato una nullità un po’ da tutti». Lei che rapporto ha col potere, di cui Suburra parla tanto? «Sono una persona a cui non piace subire, sono sempre stato uno che reagisce d’istinto e ho fatto un sacco di cavolate. Come la maggior parte di quelli apparentemente calmi e riflessivi, se sento di subire una pressione che va contro il mio senso di giustizia, reagisco in modo deciso». Da romano, come sta vivendo la situazione attuale della Capitale? «Purtroppo questo periodo storico verrà ricordato come uno dei peggiori per la nostra città, non c’è dubbio. Ho sempre reagito con molta veemenza a tutte le battute su Roma e sui romani, difendevo la mia città con uno scatto quasi isterico, stanco di ascoltare gente che ci vive e ci lavora e non fa che denigrarla. Oggi invece mi ritrovo costretto ad abbozzare». Sua moglie Gina Gardini è una produttrice: fino a che punto il cinema è presente anche tra le pareti di casa? «Avere tre figli e una famiglia insieme può annullare molti argomenti, i bambini sono così totalizzanti che non c’è molto spazio per il resto. Però ci diamo consigli e ci confrontiamo. In effetti io di consigli ne chiedo tantissimi e cerco spesso conferme». Collabora molto in casa? «Sì, mi sembra perfettamente norma- le, ma vedo che se un uomo va a prendere i bambini a scuola gli vengono fatti quasi i complimenti. Incredibile: ho visto dei padri giustificarsi per il fatto di essere lì e sottolineare che, in realtà, di solito sono impegnatissimi. Ma perché, si vergognano di prendere i figli a scuola?». E i suoi figli come vivono il suo lavoro? «Non si rendono veramente conto di quello che faccio, ma a me fa piacere quando mi fermano per strada e, davanti a loro, mi fanno i complimenti.A volte succedono anche cose imbarazzanti, però: per Acab, che è un film di cui vado molto fiero, un sedicenne una volta mi disse “Grande Nigro, rimandiamoli a casa loro!”. Pazienza, essere identificato con il tuo personaggio, magari negativo, è normale». Prossimamente in chi potremo identificarla? «In un soldato prussiano del film The Book ofVision, prodotto da Terrence Malick e ambientato tra i giorni nostri e il 1700. Gran bella sfida». Ma è vero che è diventato attore un po’ per caso? «Sì, studiavo Storia Medievale all’università e mi piaceva tantissimo, poi mi sono iscritto al Centro Sperimentale di Cinematografia quasi per gioco. Non ho iniziato da ragazzino, come si fa oggi. Quando mi sono diplomato c’erano storie quasi solo per i quarantenni, ora che sono quarantenne ci sono molti più ruoli per i venticinquenni. Fa un po’ ridere: all’epoca mi sentivo dire che ero troppo giovane, ora che sono troppo vecchio».
Ho tre figli, a casa faccio la mia parte. Mi stupisco sempre quando c’è qualcuno che fa i complimenti ai papà che vanno a prendere i bambini a scuola. Ma che c’è di strano?