Nel campo profughi le spose siriane dicono sì a Rozhin
CINQUE FIGLI, ORIGINARIA DEL KURDISTAN SIRIANO, QUESTA DONNA TOSTISSIMA HA APERTO UN SALONE-SARTORIA IN UNO DEI PIÙ GRANDI CAMPI PROFUGHI DEL NORD IRAQ. PERCHÈ I BOMBARDAMENTI NON POSSONO DISTRUGGERE I SOGNI
RozhinAhmed Hussein è un’estetista siriana di 32 anni. Gestisce un salone di bellezza in uno dei più grandi campi profughi del Nord Iraq, Domiz 1, dove vivono 40mila persone che sono fuggite dalle aree dei combattimenti. Se le chiedi che cosa sia il lusso, questa donna che è nata e cresciuta
a Qamishli, la capitale del Kurdistan siriano, ne dà una definizione minimalista,
laconica: «È il diritto di avere una casa e un’auto, la possibilità per i miei figli di ricevere un’educazione adeguata e indossare vestiti dignitosi». Non una parola di più, non ce n’è bisogno. La sua è una storia di fatica e anche di riscatto in un Paese, la Siria, dove la speranza rinasce dalle ceneri dei bombardamenti. Nel campo profughi gestito dall’International Medical Corps (IMC), il saloon di Rozhin è a suo modo un’istituzione, un’oasi di normalità per centinaia di donne e famiglie che hanno perso tutto, ma non la voglia di vivere. Con le sue tre collaboratrici offre alle donne servizi di manicure e pedicure, vende prodotti per il make-up e per i capelli, realizza tagli, messe in piega, extensions e offre bouquet di fiori per le feste. Ci sono giorni in cui, racconta, non ha un attimo libero. I sogni, in fondo, bussano sempre alla sua porta.
IL DIRITTO DI INNAMORARSI
Il punto di forza del suo negozio sono però gli abiti da sposa, che realizza e affitta alle coppie che vogliano sposarsi. «Qui siamo poveri. Ci sono problemi igienici, tagli della luce, non c’è lavoro. Ma quando faccio un vestito, esco dal locale con la sposa, la abbraccio e ci mettiamo a ballare come matte: sono così felice quando le vedo belle!». Il diritto di innamorarsi, insomma, non è un lusso nemmeno qui, nemmeno in un campo che sorge a pochi chilometri da Mosul, la città che, fino allo scorso luglio, è stata infestata dall’Isis. Rozhin è mamma di cinque bambini. La più grande, Aheen, ha 10 anni ed è nata a Damasco, dove Rozhin ha aperto il suo primo salone di bellezza nel 2007, dopo essere scappata dalla sua città. I più piccoli, due gemellini di un anno, sono nati nel campo. Si chiamano Shireen e Nisrin. «Sono arrivata qui nel 2013 e, nonostante le perplessità di mio marito, mi sono subito indebitata per aprire il saloon.Vivo giorno per giorno per dare un futuro alla mia famiglia». Se ha un sogno? «Certo, andare in Europa, l’unico posto dove riesco a intravedere una prospettiva anche per il mio lavoro». Quando le chiedi quanto guadagna in un anno, Rozhin risponde senza ritrosie, con la consapevolezza di chi conosce il valore del denaro e della vita. «5.000 dollari, che divido con le mie dipendenti». Da queste parti non è una cifra da poco. Che cosa sia poi la speranza in un Paese distrutto, lo diceva Fabrizio De André: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”. I fiori della speranza offerti da Rozhin alle spose del campo che, nonostante tutto, non hanno rinunciato a sognare.