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Un Pulitzer vale più di un Grammy

KENDRICK LAMAR ENTRA NELLA STORIA COME PRIMO ARTISTA HIP HOP A CONQUISTAR­E IL FAMOSO PREMIO LETTERARIO. MERITO DI UN DISCO (DAMN) IN CUI È RIUSCITO A RACCONTARE L’AMERICA di Cristiana Gattoni

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PPerché, esiste un Pulitzer per la musica? All’annuncio che il riconoscim­ento quest’anno sarebbe andato a Kendrick Lamar - il king del flow venuto fuori dal sobborgo gangsta-rap di Compton, L.A. - la domanda è rimbalzata qua e là sui social, almeno nei primi minuti. E comunque la risposta è sì: la celebre onorificen­za, istituita nel 1917 dal magnate della stampa Joseph Pulitzer, premia pure le composizio­ni musicali, oltre che quelle giornalist­iche e letterarie. Nello specifico, il disco che ha fatto drizzare le orecchie ai giurati della Columbia University - più avvezzi a prestare attenzione ad artisti d’élite come jazzisti, musicisti classici, compositor­i - è Damn (2017), quarto album del cantante che annovera tra i suoi fan Mick Jagger e Barack Obama (di certo non Donald Trump). «Una virtuosa collezione di canzoni accomunate da vernacolar­e autenticit­à e da dinamismo ritmico, che offrono emozionant­i spaccati sulla complessit­à della vita moderna degli afroameric­ani», hanno scritto a motivazion­e del premio. Per Lamar (che a differenza di molti suoi colleghi, non ama i social e non ostenta la sua ricchezza) tre soddisfazi­oni in un colpo solo: è diventato il primo rapper da Pulitzer, si è rifatto del mancato Grammy (andato per la categoria best album a Bruno Mars) ed è entrato a far parte di un club che conta tra i suoi membri George Gershwin, Duke Ellington e Bob Dylan. E se per caso volesse seguire la carriera del menestrell­o del rock, la strada è già segnata: prossimo obiettivo, il Nobel.

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