Michelle Pfeiffer
NEW YORK, 1993
Ti basta muovere un sopracciglio per esprimere il senso del dramma meglio di tutte le attrici della tua generazione» mi sussurra Martin (Scorsese,
ndr). Me lo dice sempre, e credo sia per questo che mi ha scelta per interpretare la contessa Ellen Olenska (in L’età dell’innocenza, ndr), una donna ingabbiata dalle convenzioni sociali del 19esimo secolo, costretta a reprimere i suoi sentimenti per non essere additata come una poco di buono. Ho provato sulla mia pelle quanto possa essere logorante soffocare la propria natura per adattarsi alle aspettative degli altri. Quando ho capito che avrei voluto fare l’attrice, l’ho tenuto nascosto ai miei, per evitare che mi ostacolassero o ridessero di me. Loro avrebbero voluto che diventassi una brava ragazza senza tanti grilli per la testa, e io ho provato con tutte le mie forze ad accontentarli, fino a quando decisi di mollare gli studi per inseguire il mio sogno.Vinsi un concorso di bellezza e fu lì che imparai a mie spese quanto la bellezza possa essere un’arma a doppio taglio, pronta a farti a pezzi se non la usi bene.
L’INSICUREZZA È IL MIO PLUS
Capii subito che nell’ambiente il mio talento passava inosservato: ero apprezzata per il mio aspetto, perché ero una “bombshell” (uno schianto), come mi definivano spesso. Se riuscii a fare il provino per Scarface fu solo per le insistenze del produttore, e dovetti sudare sette camicie per convincere il regista Brian De Palma che c’era dell’altro, oltre al mio aspetto. Da allora, ho sempre cercato ruoli dove essere brava fosse considerato più importante che essere bella. Non so se ce l’ho fatta. A ogni film ho paura di non essere all’altezza, mi dico sempre che la mia interpretazione migliore deve ancora arrivare.Voglio conservarla questa insicurezza, questo fuoco che mi spinge a migliorarmi. E, soprattutto, voglio invecchiare con grazia, senza mai diventare la caricatura di me stessa.