Micaela Ramazzotti Sono più tosta che fortunata
MICAELA RAMAZZOTTI SEMPLICE MA CAPARBIA, È RIUSCITA A COSTRUIRSI UNA VITA PROPRIO COME LA VOLEVA, IN FAMIGLIA E AL CINEMA. CHE LA APPASSIONA MA VIVE CON SANO DISTACCO, NIENTE FESTE E MONDANITÀ: «QUANDO STACCO DAL SET, TORNO IN CUCINA A FARE LA MAMMA»
CCon quel taglio di capelli spiritoso e i grandi, poeti ciocchi, Micaela Ramazzotti non somiglia tanto all’ impacciata Valeria, protagonista del film di Roberto Andò Una storia senza
nome (fuori concorso al Festival di Venezia, al cinema dal 20 settembre; recensione a pag. 109). Ma, verso la fine di questo delizioso racconto, ispirato al furto (vero) della Natività del Caravaggio a Palermo nel 1969, Valeria tira fuori il carattere di Micaela, la sua determinazione. Da semplice segretaria diventa un’occasionale spia, addirittura scopre una trattativa Stato-mafia. Nella vita Micaela non fa nessuna di queste cose, ma è riuscita nell’impresa più difficile per tutti: ottenere il lavoro che voleva e la famiglia che voleva, due figli meravigliosi (Jacopo e Anna) e un marito, il regista Paolo Virzì, al quale è legata profondamente. È un’attrice e una donna di successo. La vedremo anche in Ti presento Sofia con Fabio De Luigi (dal 31 ottobre) e in Un anno in Italia di Francesca Archibugi. Non le capita di essere sottovalutata come Valeria che scrive sceneggiature per Pes (Alessandro Gassman), fascinoso cialtrone del quale è innamorata. Ma a molte donne capita, no? «Oh, sì e non solo nel cinema. Penso a quelle che fanno lo stesso lavoro degli uomini e sono pagate meno. E invece le donne dovrebbero essere dichiarate patrimonio dell’umanità. Se miglioriamo la nostra vita, miglioriamo quella di tutti. L’Italia è molto indietro, purtroppo. Chi ce la fa, ce la fa da sola».
Come Valeria nel film?
«Beh, sì. Il pasticcio in cui è coinvolta, tra produttori, finanziatori mafiosi e servizi segreti la sblocca, le dimostra che può emanciparsi, valorizzare la sua femminilità, liberarsi di un amore non ricambiato. È una quasi quarantenne chiusa, e si trasforma in una
seduttrice, in una specie di Nikita. È il condensato - in due ore - del lungo percorso delle donne dalla timidezza all’assertività.
Che cosa’ha in comune con Valeria?
«La riservatezza. Fuori dai momenti mondani, i festival, le presentazioni, sono come lei. Mi piace chiudermi nel mio mondo, con i figli, proteggerli, non esporli. Non ho ansie presenzialiste, bisogna spingermi in ascensore per andare a una festa, sono un lupo solitario… Ero così anche da adolescente».
Nessuna vanità?
«Mi piace la moda, soprattutto il vintage. Giro per mercatini, a Roma, pesco dappertutto, anni 50, anni 70, mi diverto a mescolare».
Guardando indietro, come si vede?
«Mi sono costruita e continuo a farlo senza pensarci troppo. Riesco a prendermi in giro e ad accettarmi. Anzi, diffido di chi non ha cedimenti e dice: è tutto a posto. C’è un pizzico di follia in ciascuno di noi. L’ho imparato girando La
pazza gioia e va bene così».
Quindi il suo bilancio è positivo?
«Sì. Alla fine non ho rinunciato a niente, ho avuto tanto, vado serena verso i quaranta (l’anno prossimo,
ndr), sicura che ogni età sia fantastica. Ho cominciato giovanissima. Sul primo red carpet sono andata con i miei vestiti. Non è come adesso: un’esordiente è circondata da image maker e stilisti. Sono cresciuta recitando, e il cinema mi ha insegnato molto, mi ha plasmata, trasformata. Ma ho sempre avuto due obiettivi: recitare e avere la mia famiglia. Quando la promozione del film è finita, corro in cucina e riprendo il mio ruolo di mamma. Ho due case: l’altra è il set».
In tutto questo c’è più determinazione, casualità o fortuna?
«La determinazione è fondamentale. Poi la fortuna serve sempre, ci sono gli incontri, un film ha più successo dell’altro. L’importante è non perdere il contatto con se stessi, ascoltare il corpo».
Che cosa intende?
«Il corpo serve a esprimersi. Io regalo i miei difetti al cinema e lo faccio volentieri: per esempio i denti grandi e la risata del mio personaggio Valeria… Il corpo è uno strumento meraviglioso, quello femminile di più. L’uomo non può, come noi, avere due cuori per nove mesi. È emozionante, e io ho fatto addirittura il bis».
Che tipo di madre è?
«Coccolona. Tendo molto all’abbraccio, voglio godermi l’infanzia dei miei figli.Voglio esserci, voglio che ricordino le cose fatte insieme, il cinema, le gite, l’essere accompagnati a scuola.Vorrei anche essere più severa, ma è difficile. I bambini sorridono e ti smontano».
Perciò tra lei e suo marito è lui il “poliziotto cattivo”?
«Macché, Paolo è più buono di me. Forse siamo cresciuti con genitori più severi e di conseguenza siamo un po’ il contrario. Oggi i genitori sono strumenti dei figli!».
Il vostro matrimonio funziona, anche in tempi difficili per le coppie. Avete una formula?
«Ci amiamo tanto: questa è la formula. Non ce ne sono altre. Paolo ha girato un film, Ella e John, con due anziani che decidono di morire a modo loro, non in una casa di riposo, ma viaggiando e amando la vita fino all’ultimo. Lui ci vede così. Saremo così. Tra moltissimo tempo, ovvio…».
❝Sono una madre coccolona, che abbraccia. Vorrei essere più severa, ma è difficile: i bambini sorridono e ti smontano