Rosa Salazar «Cancella i limiti, tutto è possibile»
È un’entusiasta, Rosa Salazar, che ha trasformato le difficoltà in punti di forza. Nessuno stupore dunque se a un certo punto ha deciso che l’eroina cyborg del film Alita poteva essere solo lei. Come ha convinto il regista? Semplice, l’ha fatto piangere
«Mi hanno sempre preso in giro per due cose: l’altezza, che definivano “bassezza”, e gli occhi grandi. Beh, la mia Alita è bassa 1,63 e gli occhi le sono diventati grandissimi, enormi», ride Rosa Salazar, 33 anni ma l’aria di una studentessa. Finora era conosciuta soprattutto per due franchise di fantascienza distopica dell’onnipresente genere young adult (era Lynn nella serie Divergent e Brenda in Maze Runner), ma quest’anno è apparsa insieme a Maggie Gyllenhaal in Lontano da qui, e poi con Sandra Bullock in Bird Box, su Netflix. Dal 14 febbraio è lei la protagonista di Alita - Angelo della battaglia, tra i più iconici e amati personaggi dei manga giapponesi. Il film racconta di una cyborg del ventiseiesimo trovata in una discarica che non ricorda chi sia e dove si trovi, ma che potrebbe rappresentare l’ultima speranza per l’umanità. Era da 19 anni l’ossessione del regista James Cameron che, occupatissimo nei quattro sequel di Avatar, alla fine ha deciso di passare la sua sceneggiatura ormai polverosa a un altro regista di culto, Robert Rodriguez. Il film, con 3 premi Oscar (Christoph Waltz, Mahershala Ali, Jennifer Connelly), è avveniristico anche nella tecnologia: performance capture e 3d. Rosa, origini peruviane, accoglie i giornalisti come fossero vecchi amici, abbracciandoli uno ad uno (un’abitudine che definisce da «buoni vicini del pianeta») e poi si presta a interviste che sono veri happening, piene di confessioni intime, ma anche di battute che fanno ridere, rumorosamente, lei per prima. Ha un entusiasmo contagioso malgrado una adolescenza complicata: dopo il divorzio dei genitori, a 13 anni è finita in affidamento e a 15 ha ottenuto l’emancipazione. Per il ruolo di Alita ha sbaragliato tutte le giovani attrici di Hollywood di ogni etnia (ultime due rivali, Zendaya e Maika Monroe).
È dal 2016 che si sa che saresti stata Alita. Come hai trovato la
pazienza per aspettare l’uscita del film per quasi tre anni? «Continuando a mangiarmi le unghie…».
Rodriguez ha raccontato a tutti che ti ha scelta perché sei riuscita a farlo piangere nel provino, e non gli era mai successo prima. Come ci sei riuscita? «A differenza della maggior parte dei miei colleghi, io amo i provini. Non li prendo come un esame, ma come la possibilità per qualche minuto di avere un film tutto mio. Malgrado i manga fossero esauriti da anni, li avevo trovati uno a uno su e-bay, e praticamente imparati a memoria. Nella mia testa ero diventata Alita, l’unica possibile. Credo che Rodriguez sia stato travolto dall’energia emotiva che emettevo».
E Cameron? «Mi ha scritto una mail: “Ho visto Alita dentro di te. Ho convissuto con lei per tanti anni che sono felice che ora abbia trovato il suo corpo”. Roba da brividi».
Pensi davvero che ci sia qualcosa di Alita in te? «Nel film assistiamo alla sua evoluzione dai 14 ai 18 anni, il passaggio da adolescente a donna, un periodo che è stato difficile anche per me. L’unica differenza è che l’amnesia impedisce ad Alita di avere memoria del suo passato, mentre io non ho dimenticato niente. Ed è stato proprio quello che mi ha permesso di superarlo».
Come hai investito i soldi che hai guadagnato da attrice? «Li ho sempre tenuti da parte, finché sono stati sufficienti, 4 anni fa, per comprare una casa a Los Angeles. Un sogno nato negli anni in cui ero sbandata e homeless».
Hai già diretto un corto, Good Crazy, presentato al Sundance festival. È questo il tuo futuro? «Mi piacerebbe, ora sto scrivendo una serie tivù ispirata al mio passato “selvaggio”. Frequentando dei visionari come Cameron e Rodriguez ti sembra che tutto sia possibile. In fondo questo è anche il messaggio di Alita, che si considera materiale di scarto, e poi diventa una formidabile guerriera. A volte i limiti ce li mettiamo da soli perché non siamo capaci di sognare».