Ceuta. Una città tra due continenti
Ha la testa in Spagna, il cuore in Africa, ristoranti che sembrano riad, happy hour a base di tapas e mercati che sanno di suq. Ceuta, possedimento spagnolo in Marocco, è un mix unico al mondo
Ceuta, uno dei due possedimenti spagnoli sulla costa settentrionale del Marocco (l’altro è Melilla) è una lingua d’Andalusia impiantata in Africa sotto lo sguardo delle colonne d’Ercole, il finis terrae dei libri di scuola oltre il quale gli antichi credevano ci fossero i confini estremi del mondo. E, in effetti, a Ceuta finisce il mondo che conosciamo e ne inizia uno tutto da scoprire.
QUELL’ARIA DI FRONTIERA
Ci arrivo in traghetto da Malaga, cavalcando le onde inquiete dello stretto di Gibilterra: il porto di Ceuta è annunciato dalla statua di Ercole che regge due colonne, gioia
per i maniaci dei selfie. Appena scendo dal ferry, la respiro subito, quell’aria particolare. Aria di
frontiera: un multietnico mix mi scorre davanti mentre trascino la valigia all’hotel. Schivo donne avvolte nell’hijab, nel sari o nel manton andaluso, dribblo teenager strizzate in mini abiti, supero expat
seduti nei caffè con té alla menta e narghilé, oltrepasso gli sgabelli dei wine bar dove gli spagnoli dell’apericena si accalcano tra tapas e spritz.
PASSEGGIATE MONUMENTALI
Mix di culture anche Le Murallas Reales: le colossali fortezze - una araba, l’altra portoghese si fronteggiano lungo i canali che tagliano la città. I più atletici le perlustrano dal basso in kajak (ceutakayak.com), io mi avventuro a piedi. E quando affioro sulla torretta ammiro un panorama esotico, palme e architetture coloniali, la spiaggia e il mare blu cobalto. Eclettico pure un altro edificio-simbolo di Ceuta, la Casa de los Dragones con i suoi quattro draghi di resina minacciosamente appollaiati sul tetto.
E ADESSO, TAPAS!
L’Andalusia è a un passo, e quindi non rinuncio al prezioso pata negra tagliato a mano (€ 12 l’etto)
alla Despensa de Marta (@despensademarta). Per l’happy hour seguo i locali che si accalcano con i bicchieri in mano nei bar di plaza del Teniente Ruiz.
SABBIA E BANCARELLE
Basta un raggio di sole e le spiagge urbane, come quella de la Ribera, s’inondano di jogger, ragazzi che giocano a pallone, gruppi che fanno fitness, famiglie attorno al tavolo da pic-nic. Probabilmente queste ultime hanno acquistato le materie prime al Mercato Centrale che, per colori e profumi, evoca un suq. Faccio incetta di spezie e di oli essenziali, più comuni come quello di menta, mai visti prima come quello di patate.
PRANZO TRA LE COLONNE
Gli antichi avevano ragione ad averne paura: Monte Hacho, una delle due colonne d’Ercole, è un promontorio spettinato dai venti che soffiano 200 giorni all’anno. Mi avventuro su per la carretera de San Antonio, una spirale di curve disseminata di forti e fortini, in cima alla quale guadagno il panorama che arriva fino alla Rocca di Gibilterra, l’altra colonna d’Ercole. E non mi sembra vero di accaparrarmi l’ultimo tavolo all’Oasis (restauranteoasis.es), regno incontrastato della cucina marocchina, tra stucchi e lanterne.
IN MAROCCO E RITORNO
Nel mio giorno finale a Ceuta faccio una passeggiata verso il confine con il Marocco. Lungo il percorso - in tutto un’ora - la corniche si frantuma in spiagge e calette. In prossimità della barriera antimigranti che tanto ha fatto discutere, tutto tace e incontro solo qualche pescatore. Sulla via del ritorno mi perdo per l’ultima volta in Ceuta tra palazzetti neoclassici e angoli di medina, dove il ritmo della trap si mescola alle melodie arabe. Perché la musica mica la fermi al confine.