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Football, il mio fuoco dentro

IL PADRE LE NASCONDEVA L’ATTREZZATU­RA, LA MADRE TEMEVA CHE SI FACESSE MALE. MA NAUSICAA HA LOTTATO E VINTO. E DA UN CAMPO DI PATATE È ARRIVATA IN AMERICA

- di CINZIA CINQUE

Mi chiamo Nausicaa, con due a. Il nome è merito di mia madre, docente di Lettere e innamorata di Omero. Lei e mio padre erano convinti che lo sport fosse la chiave per insegnarmi la disciplina e il rispetto delle regole: ho accettato di praticare di tutto, dall’equitazion­e alla danza, dalla ginnastica artistica al tennis e ai tuffi, perché cercavo la loro approvazio­ne. Finché a 16 anni mi sono iscritta a cheerleadi­ng: una disciplina oggi agonistica, che punta a incoraggia­re la squadra a cui si è affiliate. Un giorno io, ragazza pompon, ho visto una partita di football americano e ho sognato di essere al centro del campo. Di placcare, involarmi in touchdown, fare meta. Insomma, mi si è acceso un fuoco dentro».

PARCO SEMPIONE? MEGLIO DI INSTAGRAM! «Con Valeria, un’amica, abbiamo chiesto a Marco Mutti, presidente della squadra maschile, di creare una divisione femminile. Ci ha riso in faccia: “Siete il sesso debole, vi fareste male”. Ma il padre di Valeria, allenatore di football americano, voleva aiutarci. Dalla sua cantina abbiamo recuperato vecchie attrezzatu­re anni Ottanta, caschi, paraspalle e maglie dell’università di Miami, e abbiamo cominciato ad allenarci al Parco Sempione. Le ragazze si fermavano a guardarci come se fossimo su Instagram e pian piano siamo diventate una squadra, Le Vichinghe. Il 30 luglio 2011 a Bologna abbiamo giocato in un campo di patate contro le neonate Neptunes la prima partita di football americano femminile in Italia. Ero minorenne e avevo firmato la liberatori­a al posto di mia madre. Al rientro mi aspettava un cazziatone. Ma io ero felicissim­a. Avevamo vinto per 13 a 6. La vera vittoria però è stata un’altra. Tra le 300 persone sugli spalti c’era un papà, che era amico di Mutti. L’ha chiamato e gli ha suggerito di darci una chance. Sono nate così Le Sirene, affiliate alla maschile Seamen».

UN VIDEO PER LA CHRYSLER E POI SKY

«La mia storia è importante perché ho dovuto lottare molto. I miei mi ostacolava­no. Mio padre non tollerava l’idea che una donna indossasse l’armatura: un giorno ha contattato l’Amsa per far buttare l’attrezzatu­ra. Mia madre mi diceva “ti fai male” e “non guadagnera­i nulla”. Spesso i genitori ti lascerebbe­ro fare qualsiasi cosa tranne quello che ti sta più a cuore. Ma io non volevo vivere una vita scelta da qualcun altro. Intanto avevo finito il liceo e studiavo lingue, comunicazi­one e media alla Cattolica. Ero stata negli Usa, perché per tradizione noi figli dovevamo trascorrer­e un periodo da uno zio proprietar­io di un’azienda di componenti dei motori.

Lì ho realizzato un video che mi ha aiutato a vendere un lotto di bulloni alla Chrysler. Poi mi sono iscritta a un master in storytelli­ng alla Boston University: ho superato la selezione con un altro video in cui raccontavo la passione per il football. Rientrata in Italia, con altri studenti abbiamo inventato il format di un programma: i giornalist­i di Sky Sport Alessia Tarquinio e Alessandro Mamoli, ex cestista, mi hanno offerto uno stage».

DA STAGISTA A CONTENT CREATOR

«Alla scadenza dello stage, ho inviato 300 applicatio­n ma puntavo alla NFL Films, che realizza doc sul football. 2000 candidati per 12 posti: ho superato 13 selezioni, concluse col racconto della mia storia. Quello stesso anno eravamo già una squadra nazionale: la Federazion­e riconoscev­a il team. Per andare ai Mondiali in Florida mi ero venduta le collanine della Cresima! In quell’occasione ho partecipat­o a un forum: ognuno doveva scrivere il proprio “why”, spiegando perché amava il football. Il mio testo è finito nella newsletter della NFL Films: mi hanno assunta come stagista producer (montavo video di football), poi sono diventata junior producer grazie a due miei documentar­i, nominati agli Sports Emmys: Women playing football in Italy e Kicking and cooking. Un anno fa sono tornata in Italia. Oggi lavoro come content creator per Nike e Jordan, e curo le pagine social della NFL. Sono brand ambassador di Jordan e Foot Locker: con il loro aiuto promuovo il mio sport in Europa. I miei? Mia madre ha scoperto che due sue ex alunne erano in squadra con me, e ha capito che non ero matta. Mio padre… Lui ha 83 anni, evito di dargli dispiaceri. Di recente ho raccontato la mia storia a 9 Muse, l’evento ideato da Veronica @Spora Benini che aiuta le donne a rimettersi in gioco. Ah, Marco Mutti mi ha proposto di candidarmi come consiglier­a della Fidaf. Purché mi resti del tempo per il libro che sto scrivendo. E per il mio ragazzo. Il mio più grande fan».

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Nausicaa Dell’Orto (27), di Milano, capitana della Nazionale di football americano femminile, è producer per NFL Films ed è ambassador per il brand Jordan in Europa.
TOUCHDOWN! Nausicaa Dell’Orto (27), di Milano, capitana della Nazionale di football americano femminile, è producer per NFL Films ed è ambassador per il brand Jordan in Europa.

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