Chiamami col mio pronome
L’ULTIMA È ELLIOT PAGE CHE, DA TRANS, CHIEDE UN CAMBIAMENTO DI GRAMMATICA. E UNA NUOVA FORMA DI RISPETTO
Tutto, a Hollywood, è iniziato nel 1993: ma ci arriveremo. Intanto, partiamo da Shawn Mendes, l’ultimo a scusarsi (oggi, nel dubbio, ci si scusa sempre) per aver usato le parole sbagliate. Riferendosi a Sam Smith, Mendes ha usato il pronome “he”, “lui”. Un anno fa, Smith aveva dichiarato di essere non-binario, e dunque che i pronomi da usare con lui sono they/them. Shawn è corso ai ripari su Instagram: «Sam, mi dispiace tanto per essermi riferito a te con “lui” durante il Jingle Bell Ball. Mi è sfuggito di mente. Non succederà più». L’altro ha perdonato: «Stiamo tutti imparando». Aveva già provato tempo fa a impartire la lezione: «Quando le persone usano i pronomi correttamente, è bellissimo. Fa sentire sicuri, felici, capiti». CHE FARE CON ELLIOT? La chiave sta nella prima frase: «Stiamo tutti imparando». E la strada è per forza costellata di errori: errori umani. C’è stata, da parte dei lettori dei giornali italiani (i pochi rimasti), una gran sollevazione social all’ultima notizia su Elliot Page. Non sapete chi è? Ecco. Quasi tutte le testate hanno titolato: «Ellen Page ha dichiarato di essere transessuale, d’ora in poi si chiamerà Elliot». Forse siamo più tardi noialtri, forse negli Stati Uniti nessuno ha dubbi di fronte al titolo “Elliot Page si è dichiarato transessuale” (cioè la frase che hanno usato tutti i quotidiani e i magazine americani). Qui hanno provato ogni giro possibile, fino al triplo carpiato del Post: «La persona nota finora come Ellen Page ha detto di essere transgender e di chiamarsi Elliot Page». Neanche questo sforzo di dare la notizia sull’interprete di Juno e The Umbrella Academy (perché altrimenti la notizia dove starebbe?) senza al contempo ledere i diritti anche grammaticali delle singole categorie è stato apprezzato. A me pareva invece un tentativo, forse pindarico, di imparare tutti, in un Paese, il nostro, in cui fino all’altro
ieri la comunità trans non faceva nemmeno notizia, e dove oggi invece se ne parla. Forse in modo ancora confuso, ma se ne parla. E poi c’è la lingua, che cambia con la società, ma mai di colpo: abbiamo imparato a definire “sindaca” chi preferisce quella dicitura, impareremo a chiamare “loro” la persona che non si riconosce in un solo genere. Forse non useremo mai “persone che mestruano” per distinguere le donne in senso biologico da quelle transessuali (vedi il caso J.K. Rowling). Perché il rischio è separare, categorizzare, ghettizzare ancora di più.
UNA REALTÀ CHE CAMBIA
Se mai, facciamo tesoro della realtà che cambia, e che sempre più ascoltatori e spettatori hanno di fronte. Le generazioni più giovani non hanno alcun problema a comprendere e amare Jules in Euphoria, personaggio transgender come transgender è la sua interprete, Hunter Schafer. I più adulti hanno forse scoperto i non-binari grazie a Asia Kate Dillon, gli attori (bisogna usare il plurale anche nella vita) che danno volto a Taylor nella serie Billions. Stiamo tutti imparando, un po’ alla volta. E torniamo al 1993, per i tempi di oggi una vita fa, un mondo fa. L’anno prima era uscito La moglie del soldato, uno dei film più belli e famosi di Neil Jordan (rivedetelo adesso). È la storia di Fergus (Stephen Rea), terrorista dell’IRA che si innamora di Dil, una bellissima ragazza che scoprirà essere un transessuale: seguono inevitabili complicazioni. Jaye Davidson, all’anagrafe Alfred Amey, interpretava Dil, e nel fatidico ’93 ottenne per il ruolo una candidatura agli Oscar come miglior attore non protagonista: nella cinquina dei maschi. I social non c’erano, ma l’indignazione pubblica fu massiccia. Il transessualismo era molto più nascosto, la pruderie portava a chiedersi quale mise avrebbe scelto Jaye: maschile o femminile? Non ci furono più casi simili, nella storia delle statuette. O meglio, ci sono stati Felicity Huffman (candidata per Transamerica: non vinse) e Jared Leto (per Dallas Buyers Club: vinse), attori però non realmente trans.
STOP ALLE CATEGORIE
L’Academy s’è forse tutelata rimandando il pensiero di chi candidare dove. Il Festival di Berlino, invece, ha deciso, dal 2021, di abolire i premi alle interpretazioni differenziati per genere sessuale. Non più Orso al miglior attore e alla miglior attrice, ma un riconoscimento neutro. Sarà questa la strada giusta? Chi lo sa. Magari verranno nuove polemiche: perché sono stati premiati troppi uomini e poche donne (scusate: persone che mestruano), o viceversa. Il sospetto è che si rischi di complicare tutto ancora di più. E allora quell’“imparare tutti” diventa più duro di quanto non lo sia già.