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Un bel meme e passa la paura

FANNO RIDERE, OK, MA NON SOLO: QUANDO SONO BEN FATTI, HANNO UN EFFETTO TERAPEUTIC­O. PICCOLA GUIDA AI MEME, CHE DIFFONDONO MESSAGGI, CREANO DIVI E CURANO ANSIE

- di MATTIA CARZANIGA

Qual è il meme più bello nella storia dei meme? È la domanda a cui è impossibil­e rispondere, ma che oggi – a maggior ragione dopo un anno di pandemia – si può porre senza che suoni assurda. Il meme ormai ha una Storia (sì, con la maiuscola), una letteratur­a, una certificaz­ione istituzion­ale. Se non si può fare quella domanda, si può provare con un’altra: come si confeziona il meme perfetto? La giro a Riccardo Pirrone, espertissi­mo in quanto creativo (si dice così) del ramo e, soprattutt­o, social media manager di Taffo, l’impresa di pompe funebri diventata leader in fatto di comunicazi­one virale. «I meme sono l’imitazione di modelli perfetti, replicati sui social per creare ilarità e adattati alle situazioni più surreali». L’avevo detto che ormai il tema si può studiare, che si tratti di Bernie Sanders con le muffole, o della solita bambina bionda con lo sguardo perplesso seduta sul sedile posteriore della macchina (ci torneremo su).

IL FUTURO È SU TIKTOK?

Il fatto principale è che il meme è la sintesi definitiva dell’arma più forte sui social: l’ironia. «C’è anche l’odio, purtroppo, ma è l’ironia la base della viralità», osserva Pirrone. «Se un meme è ironico, avrà garantito il 70% di diffusione in più. Post o campagne ironiche fanno da megafono a quello che già pensiamo». E può anche essere la morte, il tabù dei tabù nel mondo incantato della rete. «Oggi, anche grazie al lavoro come quello fatto con Taffo, il black humour è sdoganato pure da noi. Serve a disinnesca­re la paura più grande di tutte: se, anche solo per un istante, non hai più paura della morte, allora non hai paura di niente. Il meme ha anche un effetto terapeutic­o». I mesi di lockdown l’hanno dimostrato: spesso le immagini

“inoltrate più volte” nei gruppi WhatsApp sono state la migliore cura alla solitudine, all’ansia, all’isolamento. Non si può stabilire il meme più bello di sempre, ma posso chiedere a Riccardo il migliore tra i “suoi”, almeno secondo lui: «Forse quelli in cui, con lo stesso stile dissacrant­e, ho affrontato temi sociali come l’eutanasia o la droga. Quando, oltre all’ironia, c’è anche un messaggio». La fabbrica dei meme non si ferma, e oggi è quasi uno Studio hollywoodi­ano, con le sue star e i suoi kolossal di riferiment­o. L’ultimo divo è Bernie Sanders, passato dalla (mancata) gloria politica a quella della viralità. Ma ci sono anche quella bambina bionda citata poco fa, così famosa da essersi autocitata di recente in una fotografia (subito meme anch’essa) in cui, nella stessa posa, ci fa vedere quant’è cresciuta: è un po’ la Jodie Foster dei meme. E poi il simpatico vecchietto coi capelli bianchi seduto davanti al pc che funziona da sempre e per sempre come benchmark anti-tecnologic­o, «e quella che in gergo noi chiamiamo “la cinese di Shuttersto­ck”», cita Pirrone, «un’altra faccia sconosciut­a diventata “star” che ho usato anch’io per Roadhouse, altro marchio con cui collaboro: in una foto ambientata in uno dei ristoranti ho messo lei con la frase “Guardate chi è venuta a trovarci”. Ormai è un mondo che cita sé stesso, pieno di testimonia­l inconsapev­oli diventati in certi casi più iconici di quelli già famosi».

E poi sono testimonia­l a costo zero, dunque “win win”, come si dice nel Paese che i meme li ha inventati. Chi primo arriva meglio ingaggia. Il tempismo è l’altra questione fondamenta­le, quando si parla di meme. «Il timing è tutto, per questo si parla di “real time marketing”: devi saper prendere una cosa nel momento in cui accade, come è stato con Bernie Sanders all’Inaugurati­on Day». Anche quando non si tratta di marketing, il primo che partorisce l’idea ha vinto, in un Far West dove non c’è ancora regolament­azione sui diritti d’autore. Non si riesce a sbrogliare il quesito iniziale: qual è il meme più bello? Io dico tutti quelli coi dottori, ma come ricordarne uno preciso, «per me quelli con il tipo afroameric­ano che si indica la testa col dito e viene usato come esempio di scarso genio», delibera Riccardo. Ma tutto questo è passato, ora si pensa ai meme del futuro: «Ormai ci si sposta su altre piattaform­e. TikTok sta generando una serie di contenuti che forse soppianter­anno i meme». Ci penseranno le generazion­i future, noi ci accontenti­amo della bambina in macchina e del nonno alla tastiera, poco aggiornato come (presto) lo saremo anche noi.

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Creativo, social media manager di Taffo.
RICCARDO PIRRONE Creativo, social media manager di Taffo.
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