Tecla Insolia «A 17 anni ho voglia di indipendenza»
INTERPRETA NADA IN TIVÙ, CANTA L’URLO DI INSOFFERENZA DELLA SUA GENERAZIONE. E DICE: «IO E I MIEI COETANEI SENTIAMO FORTE IL RICHIAMO DELLA LIBERTÀ»
Sarà che entrambe hanno debuttato giovanissime sul palco di Sanremo. Sarà che in fondo Tecla Insolia un po’ le assomiglia davvero a Nada Malanima. Nonostante l’età (Tecla ha appena 17 anni) nelle sue parole, nel suo modo di fare e di approcciarsi al lavoro c’è una serietà che sa di altri tempi. Quindi nei panni della cantante toscana, oggi 67 anni, la Insolia ci sta davvero bene. Parliamo del film La bambina che non voleva cantare, in prima tv il 10 marzo su Raiuno (e in streaming su Raiplay). Tratto dalla biografia di Nada,
Il mio cuore umano, la fiction racconta l’infanzia e la prima adolescenza della cantante di Ma che freddo fa e si conclude proprio quando Nada arriva all’Ariston, nel 1969. Nada da piccola ha il volto di Giulietta Rebeggiani, mentre Tecla la interpreta da ragazza. «Il racconto è molto travagliato» spiega Insolia. «Nada è un personaggio complesso ma anche leggero, stiamo pur sempre parlando di una bambina e poi di una ragazzina degli anni 60. Canta perché pensa che sia una cura per la depressione di sua mamma (sullo schermo è interpretata da Carolina Crescentini, ndr). E ha questo rapporto difficile con la musica perché non capisce davvero se è quello che le piace fare o se lo sta facendo solo per sua madre. Ma nel percorso si rende conto che il canto è un mezzo per poter esprimere tutta la rabbia e i risentimenti che prova».
Ti rivedi in Nada, hai trovato delle somiglianze?
«Sì e no. Ho riscontrato delle similitudini nel libro, ma sul set non ero io, interpretavo solo un personaggio».
Questa non è la tua prima prova da attrice (l’abbiamo già vista ne L’Allieva e Vite in fuga, ndr). Cosa pensi di chi fa questo mestiere?
«Per fare l’attore devi scandagliare la tua interiorità, io sono continuamente alla ricerca di me stessa. Credo che sia il lavoro più empatico che esista: immedesimarsi nella vita di un’altra persona. Se ci pensi, tutti dovrebbero seguire un corso di recitazione per imparare a entrare nei panni degli altri».
A proposito di panni, il film è ambientato negli anni 60. Lato moda hai scoperto qualcosa di nuovo?
«Sento un parallelismo tra oggi e quel periodo storico, anche se io preferisco di più lo stile degli anni 70»
Il pubblico ti ha conosciuto al Festival di Sanremo del 2020 (seconda tra le nuove proposte con 8 marzo).
E ora sei uscita con un nuovo singolo L’Urlo di Munch.
«Questa canzone è stata scritta all’inizio della quarantena ed è nata da un sentimento di inquietudine che rappresenta un po’ tutti, ma in particolar modo quelli della mia generazione. Esprime un richiamo alla libertà che è mio e dei miei coetanei, il bisogno di un’indipendenza non solo idealizzata, ma anche fisica». Hai un’indole ribelle? «No, assolutamente. Ma l’idea generale della libertà la manifesto nelle piccole cose. Non vedo l’ora, per esempio, di poter andare a fare una passeggiata senza la mascherina! Per il resto ho sempre preferito il lavoro e lo studio a delle cose ritenute futili, alle volte sbagliando. Ma fa parte del mio carattere: voglio meritarmi ciò che ottengo». Dici “sbagliando”: pensi di aver lasciato qualcosa indietro rispetto ai tuoi coetanei? «Mi riferisco ai social, al modo in cui aiutano gli artisti emergenti. Io sono incapace di usarli ma vedo le persone che prendono il cellulare in mano e iniziano a parlare con una tale facilità... Poi a chi parlano? A loro stessi, perché per farlo si mette il telefono in modalità specchio e questa cosa mi ha sempre incuriosito. Richiede sicurezza».
Hai iniziato con il canto a 5 anni.
«Ti racconto un aneddoto. Alle elementari una volta ho saltato la recita perché secondo me non avevo studiato bene la parte: Sebastian, il granchio di Ariel. Ho sempre avuto paura del giudizio e paura di sbagliare. Pretendo molto, esigo la perfezione o almeno di dare il massimo».
Studi grafica pubblicitaria: com’è andata con la Dad?
«Mi sono ammalata di Covid, per fortuna non grave, e ho saltato due mesi di scuola. Poi sono guarita e ho iniziato a recuperare. Ora sta andando bene. La Dad è sempre un po’ alienante ma per fortuna siamo riusciti a fare anche qualcosa in presenza».
Hai avuto paura quando stavi male?
«Sì, ma non c’è stato mai bisogno dell’intervento dei soccorsi. Milioni di persone al mondo hanno avuto il Covid, non mi sento speciale in questo».
C’è qualcosa a cui hai rinunciato causa Covid?
«Mi sarebbe piaciuto andare un mese in Inghilterra per migliorare l’inglese. Ovviamente è saltato tutto».
L’ultima curiosità: sai che condividi il titolo della canzone con un altro brano, di Emanuele Aloia?
«Me lo hanno detto molte persone. Ma io lui non lo conoscevo e non ci siamo sentiti. Sono solo coincidenze, può succedere».