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Consigli non richiesti

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IIeri giornata no. A volte arrivano. Non riuscivo a scrivere, a cucinare, a tratti neanche a respirare. Perfino il cane che sbatteva la coda sulla porta con il guinzaglio in bocca e quegli occhi da «Andiamo» mi sembrava minacciosa­mente bisognoso. Ho provato la meditazion­e, fra incensi, amuleti e respirazio­ne diaframmat­ica. Ho fatto anche cose più semplici, tipo un bagno caldo, un po’ di stiramenti. Un libro. Ero psicologic­amente una poltiglia. Verso le cinque mi è arrivato, salvifico, il messaggio di un amico: «Noi andiamo a pattinare». Lui è un pattinator­e provetto, di quelli che fanno slalom all’indietro su una gamba sola sulla punta del pattino. Io invece sono una pippa secca, infatti non mi aveva MAI invitato a pattinare. Ma, ho pensato, questo è l’elicottero che il Cielo mi ha mandato, avendomi vista sbracciata sul tetto di un palazzo in fiamme. Così ho messo dei vecchi pattini in borsa e mi sono avviata verso il parco col cane al guinzaglio. Era una bellissima sera stellata di primavera, il parco un silenzioso incanto. Poco alla volta sono arrivati i pattinator­i sulle loro bici, con le loro felpette, le loro barrette proteiche, le loro scintillan­ti tutine. In quattro e quattr’otto hanno cosparso il cemento di minuscoli birilli e hanno iniziato la loro danza di velocità, con le braccia penzoloni e i piedi nel vento. Vai, mi sono detta, è il tuo elicottero, salici. Mi sono allacciata gli schettini mentre il cane mi guardava con occhi pieni di preoccupaz­ione. Come un bimbo che decide di coprire per la prima volta il tragitto fra il tavolino e il divano, barcolland­o, mi sono lanciata. «Ettore, piacere», mi ha detto il ragazzo che mi ha acchiappat­a al volo fra le braccia. «Piacere mio». Mi ha preso per mano e mi ha portato sulla pista. Ora, converrete che innamorars­i di un pattinator­e sarebbe una pessima idea. È uno che raccoglie gnocca a palate e io sono solo l’ennesima tartaruga sul dorso che lui gira e rimette sulle zampe, l’ennesima pera rotolata giù dalla collina. Così ho lasciato la sicurezza della sua mano morbida e tiepida e sono andata a pattinare da sola in fondo alla strada; insomma, mi sono data un tono. Tremavo su ogni ruga dell’asfalto. Passettini passettini, ma non priva di una mia intrinseca dignità, ho trovato la posizione base: un piede più avanti dell’altro, le ginocchia lievemente flesse, il culo leggerment­e seduto.

Intorno a me schizzavan­o pattinatri­ci fighissime con gonnelline a fior di culo che piegavano le curve a centottant­a gradi, ma io ho proseguito indisturba­ta, scivolando a uno all’ora lungo il viale del tramonto nella posizione del paggetto sorridente. Finché la strada non ha iniziato a inclinarsi. Ma me ne sono accorta dopo. Nel buio del parco, non mi ero resa conto di essere su una discesa. Ho preso subito velocità e non avevo idea di come fermarmi. Sembrava uno di quegli incubi in cui sei a bordo di un treno senza freni lanciato nel vuoto. Il cane, che mi aveva tallonato per tutto il tempo, ha iniziato a corrermi intorno senza sapere cosa fare. Gli ho urlato «FRENAMIIII!!» ma lui non conosceva il comando. Ma quante cose inutili insegniamo ai nostri cani? Qua la zampa, porta pallina, dai un bacino... E a nessuno è mai venuto in mente di insegnargl­i FRENAMI. Un puntino azzurro correva vicino alla balaustra (quella con lo strapiombo sulle cupole di Roma, un bellissimo posto dove morire), un poveraccio che stava facendo jogging a cui ho urlato «AIUTAMIIII!!». Si è scansato, il farabutto. E io mi sono rotolata a terra con le braccia in testa come se avessi una pistola in pugno, tipo quei telefilm anni Settanta con Starsky e Hutch. E mi sono rimessa in piedi, via. Sono tornata sulla pista, acciaccata ma ridanciana, il cane mi guardava con occhi felici e sotto una luna ammaccata io e Ettore ci siamo bevuti una birra ordinata con Glovo. Sono tornata a casa rigenerata. Ieri non ho risolto i miei problemi meditando, pregando, o che. Li ho risolti vivendo. È stato bellissimo.

QUANDO HO PRESO VELOCITÀ ho urlato al cane: «FRENAMI!». Lui non ha capito

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