A scuola imitavo
ENRICO MONTESANO Il nuovo giudice di Tale «In classe mi chinavo tra i banchi e facevo il verso»
Sul tavolo c’è una copia di «Ecce Homo» di Nietzsche. Accanto, «Il superuomo di massa Retorica e ideologia nel romanzo popolare» di Umberto Eco. «I libri sono i miei migliori amici» spiega Enrico Montesano sorridendo e sfogliandoli. E i libri, con quelle pagine così vissute, piene di sottolineature, di note a matita e di «orecchie» a fare da segnalibro, contrastano con l’ordine impeccabile della casa.
L’occasione dell’intervista è il suo ritorno in tv, come giudice di «Tale e quale show». Si parla di imitazioni e lui proprio con questa specialità ha iniziato la sua lunghissima carriera. Montesano comincia a raccontare, a snocciolare aneddoti. Ma ogni volta lo fa con una voce diversa, quella del personaggio di cui ci regala ricordi e curiosità. E in questo suo personalissi- mo viaggio nella storia dello spettacolo italiano risentiamo Totò, Aldo Fabrizi, Paolo Panelli, Carlo Dapporto, Renato Rascel, Walter Chiari, Federico Fellini, via via fino a Vasco Rossi e Morandi.
Enrico, lei è una fonte inesauribile di voci...
«Io nasco come imitatore, forse è per questo che Carlo Conti mi ha coinvolto nella giuria del programma. Mi chiamavano “Il ragazzo dalle 100 voci”. Ricordo che agli inizi imitavo i cronisti dell’epoca: Ruggero Orlando, Sandro Paternostro, Sergio Telmon».
Affianca Loretta Goggi e Claudio Amendola: li conosceva già?
«Io e Loretta abbiamo fatto un film insieme nel 1967, un “musicarello”, si chiamava “Nel sole”. Lei era proprio una ragazzina, io un “pischelletto”. Ci vogliamo bene: appena ha saputo che saremmo stati colleghi in giuria mi ha mandato un messaggio affettuoso. Claudio lo conosco da tanto TALE E QUALE SHOW
RAIUNO venerdì ore 21.15 tempo, abbiamo spesso giocato insieme a calcio nella Nazionale Attori».
Cosa la diverte di più del suo ruolo di giurato?
«In realtà mi devo frenare, perché mi divertirei di più facendo le imitazioni. Giudicarle è una bella responsabilità, soprattutto perché so quanto lavoro c’è dietro. È difficile decidere in tre minuti se qualcuno è stato bravo o meno». Come si fa una bella imitazione? «Bisogna studiare bene il personaggio, avere la sua voce nell’orecchio. Come mette la lingua quando parla, che tono ha: alto, basso, di testa o di gola. E poi come cammina, come si muove. Insomma, bisogna rubargli l’anima». Un personaggio difficile da rifare? «Walter Chiari, perché non aveva segni particolari. Uno come Franco Franchi invece, così ben definito e caratterizzato, era più facile. Ho fatto Nenni, Andreotti, Berlinguer, mi mettevano le parrucche, poi i nasi, le orecchie di plastilina: con i materiali di oggi non c’è paragone».