La porta rossa 2
Lino Guanciale torna nei panni del commissario Cagliostro
Premessa indispensabile per poter leggere quest’articolo: dato che Lino Guanciale è un attore dotato di uno spiccato senso dell’umorismo, in occasione della seconda stagione di “La porta rossa”, al via su Raidue per sei serate dal 13 febbraio, abbiamo deciso di fargli un’intervista bizzarra, con tutte le domande sul tema “porta e affini”: portali, portoni, sportelli, portoncini, portieri... Vedremo se il “fantasmatico” commissario Leo Cagliostro della serie firmata da Carlo Lucarelli e Giampiero Rigosi starà al gioco.
Lino, apra una porta che finora ha sempre tenuto chiusa: ci confidi un segreto.
«Da ragazzino spiavo tutti dal buco della serratura. Non lo facevo per beccare i miei genitori in situazioni imbarazzanti, ma era una cosa di una naturalezza estrema. Spiavo anche gli insegnanti in sala professori, per dire. Insomma, prima di fare l’attore sono sempre stato uno spettatore».
Adesso chi le piacerebbe spiare dal buco della serratura?
«Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Per capire se ci è o ci fa, se qualcuno gli suggerisce cosa dire e cosa fare. Per scoprire perché ha il nodo della cravatta sempre storto, se c’è del metodo nella follia» ( ride).
Lei è popolarissimo grazie a “La porta rossa” e a tante altre fiction come “L’allieva” e “Non dirlo al mio capo”. Ma ricorda la prima porta in faccia presa a un provino?
«In realtà fui io a sbattere la porta al primo casting. Il selezionatore mi disse: “Non sei male, ma cambiati ’sto cognome”. E pensare che ora Alessandra Mastronardi mi chiama Bacon, “guanciale” in inglese. Potrei millantare una parentela con mio “cugino” Kevin. Sa quante porte aperte avrei in America?».
Chiusa una porta le si è mai aperto un portone?
«Sì, durante la terza stagione di “Che Dio ci aiuti”. Avevo chiesto io agli sceneggiatori di far uscire di scena il personaggio ( l’ex avvocato e fascinoso
prof Guido Corsi, ndr). Sentivo che si era esaurito un filone della storia, avevo dato già tutto. Ho smesso con il quarto capitolo, per rispetto del pubblico. Ma non avevo contratti, sembrava un salto nel buio. Invece poi sono arrivati altri lavori interessanti».
Ricorda quando i suoi genitori le hanno dato le chiavi di casa?
«Prestissimo, a 10 anni. Perché mia mamma, Maria Pia, da insegnante stava spesso a scuola il pomeriggio. E io dovevo andare a nuoto, poi a rugby... Il problema è che le perdevo, le chiavi. Sono sempre stato un tipo un po’ distratto».
Quindi oggi il suo portinaio della casa a Roma, che immagino sia suo fan, gliene tiene una copia di scorta?
«Quando sono andato a vivere a Tor Bella Monaca il portinaio non ce l’avevo. E non ce l’ho neanche oggi che sto alla Garbatella. Mi piacciono i quartieri popolari, colorati e multietnici di Roma. Ho dei vicini molto simpatici. All’inizio non mi si filava nessuno: ricordo che mangiavo la pizza al taglio da un indiano. Che alla tv non mi guardava proprio: per lui gli attori sono solo quelli di Bollywood».
La sua prima auto a 18 anni era una quattro porte? Citroën Visa
«Sì, una di sesta mano. L’ho rigata la prima sera che la guidavo, sbattendo contro il cancello di casa della nonna della mia fidanzatina di allora. E, come il più vile dei vandali, scappai per l’imbarazzo».
Lei è uno di quegli uomini galanti che aprono le portiere alle donne per farle salire in macchina?
«Sì, lo faccio. Per la gioia di Gabriella ( Pession, che interpreta Anna, la moglie di Cagliostro in “La porta rossa”, ndr) lo faccio anche con le auto della produzione sul set».
Crede ai portali del tempo?
«Magari! Mi piacerebbe andare nel futuro, fra 100 anni. O nel passato, negli Anni 60, durante l’adolescenza dei miei genitori. Loro, cresciuti in
famiglie semplici, mi raccontano che è stato un periodo bellissimo, vissuto con candore».
Qual è stato il suo momento “Sliding doors”?
«Come nel film in cui la vita di Gwyneth Paltrow cambia per via delle porte scorrevoli della metropolitana che le si erano chiuse in faccia generando una serie di conseguenze imprevedibili? Confesso che ogni tanto mi chiedo come sarebbe andata a finire la mia vita se, dopo aver passato il test di Medicina all’Università, mi fossi