Sarah Felberbaum
Per amore ora vive in Argentina, ma la sua carriera continua...
V «ieni a trovarmi nello showroom per l’intervista, così ti mostro le mie nuove creazioni» dice allegra Sarah Felberbaum, appena rientrata a Roma dopo cinque mesi trascorsi a Buenos Aires. Le sue creazioni sono cappelli. Lo showroom è accogliente. Il risultato è che abbiamo fatto una piacevolissima chiacchierata. E mi sono comprata uno dei suoi bellissimi cappelli! Della sua seconda attività, che si affianca a quella di attrice, parleremo più tardi. Ora la curiosità è tutta per la sua nuova vita in Argentina.
Sarah, con i vostri due figli ha seguito suo marito, Daniele De Rossi, ex capitano della Roma ora al Boca Juniors, a Buenos Aires. Una scelta impegnativa.
«Ho agito d’istinto, non c’era altra soluzione. Per me la famiglia dev’essere unita, nel bene e nel male. E la nostra famiglia è estremamente unita».
Come è andata?
«La scorsa estate Daniele ha dovuto prendere una decisione. Ovviamente si è confrontato con me, ma volevo che arrivasse a una scelta pensando a ciò che veramente voleva. E ci è arrivato. Me l’ha detto una mattina, mentre stavo andando al “Festival del cinema e della televisione” di Benevento. Sono salita sul treno e in viaggio ho riflettuto a lungo: ero felice, spaventata, entusiasta. Una centrifuga di emozioni».
E come ha affrontato la situazione?
«Con estrema calma, però un po’ d’ansia l’avevo perché lo avrei raggiunto viaggiando da sola con i bambini. Non era la prima volta, ma in quel caso non saremmo andati in vacanza, avremmo traslocato».
Come è stato il primo impatto?
«Siamo arrivati a settembre. Ricordo che era un giovedì e Daniele aveva un ritiro lungo fino al lunedì. Il primo weekend sarei stata da sola con i bambini. La casa che avevamo scelto non era disponibile e stavamo in albergo. Mi è preso un colpo. Non parlavo lo spagnolo, non ero mai stata a Buenos Aires, non mi funzionava il telefono. Ero dall’altra parte del mondo, da sola, con due creature che mi chiedevano: “Oggi che facciamo?”. E io: “Camminiamo, così capiamo dove ci troviamo”».
Però ve la siete cavata bene…
«Ho pudore a dirlo, ma sì, sono fiera di me. Studiavo la mappa della città prima di uscire dall’albergo, ho trovato delle attività per i bambini e ogni giorno avevo un programma diverso per la giornata. Dopo tre settimane in hotel però avevo proprio voglia di casa».
E l’ha trovata.
«Sì. Ne ho scelta una ma era completamente vuota».
Questo vuol dire complicarsi la vita...
«È vero, ma aveva un’energia che mi ha dato subito una sensazione di casa. Appena sono arrivati i letti ci siamo trasferiti.
Ma non
c’era altro… Sono scesa al supermercato e ho comprato piatti, bicchieri e posate. Quattro di tutto. E poi la cena».
La vostra prima cena nella nuova casa.
«Sì, con un pollo di rosticceria, un’insalata, una bottiglia di vino rosso e una cassa d’acqua. Il menu non era granché, ma è stata una delle cene più belle della nostra vita, eravamo felici di avere il nostro posto. Daniele mi prendeva in giro: “Questo pollo è immangiabile ma grazie, sono felicissimo”».
In quale quartiere avete scelto di vivere?
«Ci avevano proposto un quartiere bellissimo ma a un’ora dalla città. Se devo vivere un’esperienza così, la voglio vivere per davvero. Abbiamo scelto di stare in mezzo alla gente, in una zona più centrale, e i nostri figli vanno nella scuola del quartiere, una scuola bilingue castigliano-inglese».
Come si sono trovati?
«Bene, ma all’inizio Olivia, che ha quasi sei anni, non capiva perché nessuno parlasse inglese. Dopo tre mesi parlava castigliano. Si è fatta delle amichette e io ho conosciuto delle mamme meravigliose. Noah, invece, non avendo ancora tre anni, andava a scuola solo il pomeriggio. Poi ogni tanto mi guardava e diceva: “Va bene mamma, ma possiamo andare a Roma adesso?”».
Una sua giornata tipo?
«Ho passato molto tempo con i miei figli. La mattina svegliavo Olivia per andare a scuola, le preparavo la merenda e con Noah l’accompagnavo. Poi io e lui andavamo a spasso fino alle 13.30, quando lui entrava a scuola. La mia vita ruotava attorno a loro e alla casa. Ho anche trovato delle attività che mi piacevano. Ho scoperto la città giorno per giorno, mettendomi nella condizione di dover imparare la lingua. Ho passeggiato tantissimo, ho goduto delle piccole cose e del piacere di rallentare. Ho pure scoperto lo skateboard, con i miei figli: loro, dopo due minuti, erano già capacissimi di sfrecciare, mentre io sono rimasta un pezzo di legno (ride)».
Si è mai pentita della scelta di trasferirsi in Argentina?
«Mai, nemmeno per un attimo. Siamo tornati ancora più forti e più uniti di prima. È incredibile ma non c’è stato mai un momento di debolezza, di attrito, di frustrazione o di rancore».
Tornerete a Buenos Aires?
«Daniele è già partito, noi lo raggiungeremo».
E non le manca il suo lavoro di attrice?
«Quando sono partita pensavo di aver perso un treno, anche se ero consapevole di aver acquistato tanto dal punto di vista personale. Mi ero convinta che sarei stata un’attrice di cui nessuno si sarebbe più ricordato. Poi però ho capito che non è così. In questo periodo a Roma sto avendo degli incontri di lavoro e tornerò sul set! Non so ancora quando ma accadrà».
Intanto ha avviato un’altra attività: crea cappelli.
«Io e la mia socia Giorgia ci siamo conosciute grazie alle nostre figlie che andavano a scuola insieme. Abbiamo scoperto di avere in comune una passione per i cappelli e ci siamo dette: “Perché non creiamo il nostro cappello perfetto?”. E così siamo partite con “Undiciventi” e disegniamo e creiamo i nostri cappelli made in Italy in cachemire. Sono orgogliosa di questa attività, anche se all’inizio per pudore mi imbarazzava un po’ parlarne. Invece ora sento che è un’altra sfaccettatura di me: ci si può sempre mettere alla prova. E bisogna andarne fieri». ■