È fare squadra
Giorno e a fine mese torna con Reazione a catena.
l’idea del podio?
«Nel 2015 ero in vacanza a Londra. Ad Hyde Park, nello “Speakers’ corner”, c’era un signore in piedi su una cassetta di legno che arringava la piccola folla che aveva davanti. Lì ho pensato a un programma nel quale le persone potessero dire o raccontare qualcosa al pubblico».
A fine giugno riprende il timone di “Reazione a catena”.
«È una boccata d’ossigeno: è la leggerezza, che poi è quella che ci salva. Ci sarà una scenografia rinnovata per consentire il rispetto delle regole e del distanziamento».
Cosa le piace di più di questo programma?
«Il fatto che il quiz giochi con la lingua, con i significati, con le parole. È bello celebrare in questo modo la lingua italiana, che è quello che ci unisce: la comunicazione, le parole sono il laccio che ci lega agli altri».
Se lei partecipasse al programma quali compagni di squadra sceglierebbe? «Sicuramente Mauro Coruzzi, che è la genialità, poi Manuel Bortuzzo, che porterebbe la freschezza. Mentre io… farei il portavoce».
Il nome della squadra? «I “Reazione Sì!”, un miscuglio tra “Reazione a catena” e “ItaliaSì!”
In quale gioco si sente più forte?
«Forse nelle catene musicali: quelle le azzecco e potrei essere utile alla mia squadra. A proposito di questo, mi piacerebbe allargare il discorso...». Prego.
«Penso che sia proprio quello che dovremmo fare noi italiani adesso: più gioco di squadra, ognuno con le proprie competenze. È solo insieme che si vince. Serve una “intesa vincente”, per citare il gioco del programma, per superare questo momento difficile». ■