Franca Valeri
compie 100 anni a luglio e racconta a Sorrisi la suavita fatta di coraggio, ironia, incontri memorabili. E sketch al telefono
Intervista alla celebre comica, vicina ai 100 anni d’età .........
In tempi di giuste rivendicazioni di pari opportunità, Franca Valeri meriterebbe un monumento, perché è stata un’apripista. Già nell’Italia appena uscita dalla guerra, ai tempi delle soubrette e delle “maggiorate”, lei era non solo una comica che puntava tutto su una pungente ironia, ma soprattutto l’autrice e sceneggiatrice di se stessa: «Praticamente tutto quello che ho recitato me lo sono scritto da me». E la sua graffiante sincerità la contraddistingue anche adesso, quando confessa «oggi c’è ben poco che mi diverta», incurante del grande evento che si avvicina: il 31 luglio compirà 100 anni. Un traguardo che ha convinto anche la giuria del David di Donatello a onorarla con una statuetta alla carriera, che ha ricevuto nella sua casa a Roma, dove osserva l’isolamento con un gatto e un cane («Ma ne ho altri 14 nel mio rifugio»). Anche se lei, naturalmente, è originaria di Milano.
Franca Valeri, lei è cresciuta in via della Spiga, nel quadrilatero della moda. Com’era allora la città? Come l’ha vista cambiare?
«Non vado più in via della Spiga da molto tempo ormai, ma so che Milano si conserva bene. Però più che essere cambiate le vie è cambiato proprio il mondo. Ricordo che da bambina mio padre doveva partire per l’America e si discuteva della grande novità: ormai bastavano solo sei giorni di transatlantico! E l’educazione dei figli? Mia mamma mi diceva che avrebbe voluto un maschio ma “la donna che porta i bambini aveva solo te e disse: «Me la prenda, sia buona... facciamo così, invece di 100 lire gliela do per 50»”. Sono stata felice in via della Spiga, prima che arrivassero il fascismo e le leggi razziali».
Lei ne è stata vittima, suo padre era ebreo. Cosa ricorda di quel periodo?
«È un periodo che ho sempre cercato di rimuovere e credo che continuerò a farlo. Mio fratello e mio padre fuggirono in Svizzera mentre io e mamma restammo a Milano e poi in campagna, nascoste in casa di amici. Un amico di mio padre lavorava all’anagrafe e mi fece avere una carta d’identità falsa. Ancora mi chiedo come sia riuscita a salvarmi. Fortuna».
È vero che suo papà non voleva facesse l’attrice?
«Sì, papà aveva paura di un mio fallimento. Mise anche il veto sull’utilizzo del cognome di famiglia, Norsa. Io dopo la guerra andai a Roma per frequentare l’Accademia d’arte drammatica, ma fui bocciata all’esame di ammissione. Allora mentii ai miei genitori e dissi loro, con la complicità di una parente che mi ospitava a
Roma, che ero stata presa. Dopo i primi successi, però, papà diventò un mio grande sostenitore».
Dalla Signorina Snob alla popolana Sora Cecioni... come sono na
ti i suoi personaggi più famosi?
«Dall’osservazione di particolari tipi di donne, che poi ho arricchito e un po’ deformato. Da bambina imitavo le amiche di mia madre: la Signorina Snob è nata così. Vivendo poi a Roma ho incontrato molte Cecioni...».
Lei è stata la prima a capire che il telefono permetteva di costruire scene comiche. Come sono nati quei celebri sketch?
«Per far parlare con qualcuno la mia Signorina Snob. Che dire, un’intuizione felice».
I telefonini moderni le piacciono o no? E le videochiamate?
«Sicuramente possono dare tanti spunti comici. Ma consiglio di non abusarne».
Lei ha lavorato con tanti giganti del cinema. Ci regala un ricordo personale?
«Adoravo Totò. Ci accomunava l’amore per gli animali. Parlavamo sempre di cani. Lui aveva creato un posto per proteggerli. Poi l’ho fatto anch’io: ho un rifugio per cani abbandonati a Trevignano Romano».
E Alberto Sordi? La coppia che formavate nel film “Il vedovo” era strepitosa.
«Meraviglioso. Sembrava svagato ma era molto professionale e dedito al lavoro. Un grande compagno di scena».
Un’altra grande compagna di scena è stata Mina, in varietà come “Studio Uno”. Ma dicono che non foste proprio amiche...
«Non è vero. Mina era