Non dirò mai alla Rai: «Ora che me fate fa’?»
Lasciata L’eredità, l’abbiamo incontrato in camerino dopo lo spettacolo al Teatro Argentina a Roma
Stanco ma felice. È così che trovo Flavio Insinna nel suo camerino del Teatro Argentina subito dopo la fine della prima delle due date romane, il 4 gennaio scorso, di “Gente di facili costumi”. Diretta da Luca Manfredi, la commedia è stata scritta dal padre Nino (con Nino Marino) che l’ha anche interpretata: «Quando Luca mi ha proposto di rifarla, gli ho chiesto: “Perché non chiami Elio Germano che ha interpretato così bene tuo padre nel film In arte Nino?”.
Mi ha risposto che per il teatro gli serviva uno più vecchio (ride)! A parte gli scherzi, lui è stato bravissimo perché non mi ha mai messo paura, ricordandomi cosa stavamo facendo».
Di Nino Manfredi, però, avrete parlato.
«Certamente. Abbiamo viaggiato sul filo del ricordo ed è capitato spesso che Luca raccontasse aneddoti. Però non ha mai detto: “Mio padre faceva così”. Ha avuto la stessa sensibilità del mio maestro Gigi Proietti (sullo specchio del camerino c’è una sua foto di scena che Flavio porta sempre con sé, ndr). Quando saliva sul palco per farci vedere come recitare la scena, poi ci diceva: “Questo è il mio modo, ora fate voi”. Fin da subito l’intenzione è stata quella di fare un omaggio con tutta la nostra passione. Mai lo avrei immaginato quando ho avuto l’onore di conoscere Nino Manfredi».
Quando è successo?
«Nel 1989, quando andai con Gabriele Cirilli e Nadia Rinaldi a intervistarlo sul mestiere dell’attore per il Laboratorio di Proietti. Siamo stati a casa sua due pomeriggi e Manfredi parlò anche di “Gente di facili costumi”, della sua voglia di mettersi in gioco, tornando dal cinema al teatro per ritrovare il rapporto diretto con il pubblico. L’audiocassetta di quell’intervista l’ho data a Luca che non l’aveva mai sentita».
Ha citato Manfredi e Proietti, due maestri.
«Potrei aggiungere Sordi, Gassman, Tognazzi, Mastroianni, De Sica. Le radici sono lì, sono loro che mi hanno fatto innamorare del mestiere che faccio. Ed è a loro che dovrebbero guardare anche le nuove generazioni di attori. Per carità, vanno bene le piattaforme e le produzioni moderne, ma se vuoi fare questo mestiere non puoi non conoscere Gian Maria Volonté o registi come Fellini, Petri e Germi. Nella vita ho poche certezze, questa è una di quelle».
Con lei sul palco c’è Giulia Fiume, che in tv vediamo nei panni della sorella di Lolita Lobosco.
«Per trovare la protagonista femminile abbiamo visto tante attrici. Quando lei, che è molto brava, è tornata da Taranto a Roma in un pomeriggio per il quarto provino, da vecchio faticatore del mestiere ho detto a Luca: “Questo potrebbe essere un segnale”. Mi ha ricordato un 16 agosto di tanti anni fa,
quando tornai io a Roma, da Treviso, in macchina con 100 gradi all’ombra, per sentirmi dire al provino: “Grazie, ma lei è troppo aitante” (ride)».
Stasera ad assistere allo spettacolo c’era una nutrita rappresentanza di dirigenti Rai. Non era scontato, dopo la sua uscita da “L’eredità”.
«Mi ha fatto piacere. Ci siamo salutati e, nella confusione tipica di questi momenti, ci siamo detti: “Ci sentiamo”. In realtà siamo sempre in contatto ma senza l’ansia del “che me fate fa’?”. Non lo chiedevo nemmeno quando avevo 30 anni, a quasi 59 lo troverei poco elegante. La Rai ha il mio affetto e la mia riconoscenza, se ci sarà qualcosa in cui io posso essere utile, non a me ma allo spettacolo, io ci sono. Ma quando sarà, senza ansia».
Ci sono già progetti concreti?
«Stiamo pensando a qualcosa nell’ambito della fiction. Da questo dipenderà anche la possibile partenza della tournée di “Gente di facili costumi” nella prossima stagione».
Torniamo alla commedia, allora. La colonna sonora è “Rumore” di Raffaella Carrà.
«Oltre a essere una regina dello spettacolo, Raffaella era una persona molto accogliente. Quando andai ospite in una puntata di “Carràmba”, le chiesi scherzosamente di poter essere uno dei “Carràmba Boys”, i suoi valletti. Lei acconsentì, e alla fine della serata mi fece portare a casa lo zucchetto nero che avevo indossato: c’era applicata sopra la “sua testa” con i capelli che si muovevano. Lo conservo in una teca di oggetti per me preziosi in cui ho anche messo il cappello con cui entro in scena in “Gente di facili costumi”: era di Manfredi e Luca me lo ha regalato».
Ugo, il protagonista di “Gente di facili costumi”, è infastidito dai rumori, nel suo caso quelli che fa l’inquilina del piano di sopra.
«Anche io, mi sa che sto invecchiando (ride). Sono andato a vivere in campagna, ogni volta che vado a Roma sogno il momento in cui tornerò a sentire il cinguettio degli uccellini. Non è più la città di una volta, quella dei film con Aldo Fabrizi in cui la gente cantava nelle botteghe: ora senti cantare solo i clacson, sono tutti feroci e arrabbiati. Tornando a Ugo, però, dobbiamo dire che lui quei rumori non li benedirà mai abbastanza visto che, alla fine, gli cambiano la vita. La solitudine è una malattia, ricordiamocelo in questi giorni in cui siamo tornati a morire di freddo per le strade».
Bussano alla porta: il tempo a disposizione è finito, aspettano Flavio per andare a cena: «Anche solo con un pezzo di pane, quando ti battono le mani come stasera è la cena più bella del mondo. E, diversamente dalla televisione dove devi aspettare la mattina dopo per gli ascolti, qui i numeri già li hai: sono le strette di mano e gli abbracci che fanno sembrare il camerino lo spogliatoio della squadra che ha vinto». ■
Sono andato a vivere in campagna, Roma non è più quella dei film con Aldo Fabrizi, con la gente che cantava nelle botteghe. Ora senti cantare solo clacson arrabbiati