QUELLA PAROLA PROIBITA NELLA CANZONE DI VASCO
Caro direttore, diamoci una calmata! Nell’articolo in cui Vasco saluta Andrea Giacobazzi, l’amico scomparso che ispirò la canzone “Colpa d’Alfredo,” avete messo gli asterischi al termine “ne***” per non scrivere la parola originale del testo. Ma dai, anche voi invasati dalla mania della “cancel culture” per cui tutto ciò che in libri, film, opere d’arte urta le anime pie deve essere cancellato! Siamo seri per favore! Ogni cosa è frutto del suo tempo ed è da inserire in quel determinato clima. Non possiamo utilizzare il nostro attuale metro per dire: questo è buono, questo è cattivo! Come avrebbe detto mia nonna, contadina emiliana molto pratica: giù dal pero ed entra nella realtà (in dialetto fa più effetto ma io non lo so scrivere).
Caro Luciano, sono anch’io contrario alle esagerazioni della cosiddetta “cancel culture”, quell’ansia di correggere parole o concetti che in passato erano normali ma che oggi non sono più accettati dalla nostra sensibilità (cambiata in meglio). Ci sono parole che sono proprio brutte da dire e da scrivere oggi: come quella della canzone di Vasco, figlia di un’altra epoca. Infatti lo stesso Vasco non la canta più e la sostituisce con “nero”. Cancellare il passato non si può e non si deve, ma certe storture facilmente modificabili meritano un piccolo sforzo, anche se si tratta di ritoccare una canzone-capolavoro. Poi certo, il ridicolo di certi censori è evidente. Ma non credo che questo sia il caso. (a.v.)
CERCHIAMO DI ESSERE BUONI
Caro direttore, in tv per me ci vorrebbero più Sciarelli e meno Lucarelli! E anche più De Filippi. Selvaggia Lucarelli non ha empatia verso il prossimo, nemmeno in questo periodo post-Covid dove, nonostante le premesse, noto emergere spesso odio e cattiveria verso gli altri.
Jem, Brugnera (PN)
Più Federica Sciarelli e più Maria De Filippi anche per me, non mi bastano mai. Pur diverse tra loro, sono due donne speciali che rendono la televisione più umana e vicina alla vita reale. Su Selvaggia Lucarelli, a differenza di lei, Jem, ho sensazioni contrapposte: certe volte mi fa arrabbiare perché la sua franchezza eccede e si tramuta in spietatezza. Altre invece mi diverte. In generale però la “cattiveria” non mi piace, trovo che spesso, se non sempre, sia un esercizio inutile, specialmente in televisione. Ne abbiamo già abbastanza attorno.
LA PRECEDENZA DELLE NOTIZIE
Buon pomeriggio direttore, anche se questa mia non verrà pubblicata, vorrei esternare la mia indignazione contro tutti i tg nazionali per aver parlato prima della scomparsa dell’oppositore al regime di Putin Aleksej Navalny e solo in seguito della morte di cinque operai edili a Firenze. Chi viene in Italia per lavorare e assicurare il pane alla propria famiglia merita tutto il mio rispetto: a 14 anni lavorare in un cantiere edile è stato il mio primo approccio con il mondo del lavoro e so quindi che cosa voglia dire. Le chiacchiere, le costernazioni e le corone di fiori dei nostri politici non bastano, e non basteranno, ad alleviare il dolore di chi ha perso il proprio caro.
Sergio Malesani
Caro Sergio, per prima cosa dico a lei e ai miei amati lettori che la formula “anche se questa mia non verrà pubblicata” non mi piace tanto. La pubblicazione o meno di una lettera dipende dal
grado di interesse che a mio giudizio (che è personalissimo e come tale a rischio di errore) può suscitare nei lettori. A proposito di ciò che scrive, non so davvero che cosa dire: i telegiornali hanno dato e continuano per fortuna a dare grande spazio alla tragedia di Firenze, alle sue inevitabili polemiche e ai lati oscuri di un incidente che non è accettabile. D’altra parte la storia del dissidente russo morto misteriosamente (mica poi tanto) in un carcere nel Circolo Polare Artico è un avvenimento che ci riguarda tutti, perché coinvolge non solo la Russia ma tutte le nazioni democratiche del mondo. Ci sono casi in cui notizie importantissime, pur diverse, coinvolgono tutti e non è facile decidere a quale dare la precedenza. Quello che critico dei telegiornali, semmai, è una certa frivolezza che li porta a raccontare questioni legate al pettegolezzo, che non aiutano certo a rafforzare l’autorevolezza delle testate.