Vanity Fair (Italy)

Un amore che non c’è più

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Era agosto. Andavo a correre. Quando ho incrociato il suo sguardo, un leggero sorriso. Il giorno dopo la voglia di tornare per vederlo, e lui era già lì. Io fdanzato da 15 anni, lui sposato, con una fglia. La sua voglia di vedermi aumenta, anche per pochi minuti. Io penso: «È pazzo». Quelle attenzioni mi prendono e in due mesi mi innamoro. Sono la persona più felice al mondo. Non possiamo più fare a meno l’uno dell’altro. Cominciamo a parlare di una vita insieme. Era lui il più convinto. Poi però tornava indietro, al pensiero della fglia. L’ho capito e abbiamo preso tempo. Ci siamo dati una scadenza. Così il tempo è passato. Ero orgoglioso di farmi vedere con lui. Arriva una nuova estate, giornate memorabili. Mi assento per pochi giorni, al ritorno trovo un uomo ombroso. «Va tutto bene?». «Sì, tutto ok amore mio». Ma non era così. «Dai», dico, «tra pochi giorni parleremo, tu a tua moglie e io al mio compagno». Lui mi dice che non riesce a lasciare sua fglia: «Rimaniamo così per sempre, io ti amo, lo vedi dai miei occhi». Gli dico che non capisco e che parlerò io con sua moglie, che non possiamo prendere in giro le persone, dopo 13 mesi. «No, così mi rovini». Insisto, e lui: «Allora mi tolgo la vita». Non gli credo. Distrutto, il giorno dopo ricevo la foto di una corda, di lui nel bosco dove mi aveva già portato. Non gli credo, ignoro il cellulare, non gli voglio rispondere. E infne ricevo un’altra foto: di noi. Ora lui non c’è più.

quella foto di loro due. A. me l’ha mandata. Un selfe. Inquadra due uomini. Uno sorride tanto, l’altro appena appena. Quello che sorride tanto passa le braccia intorno al collo di quello che sorride poco. Uno abbraccia, l’altro si lascia abbracciar­e. L’uomo che sorride, secondo me, è A. Sorride perché e felice e innamorato. Sorride, vado d’immaginazi­one, perché i suoi 15 anni di relazione con un compagno raccontano di una sfda vinta, quella contro l’omofobia. Alludo a quella più cattiva di tutte, quella interioriz­zata, rifesso – spietato proprio perché si spaccia per giudizio proprio – di quella che c’è fuori. A. sorride e abbraccia l’uomo che ama perché, come scrive, è orgoglioso di farsi vedere con lui. Ma è l’altro, l’uomo che sorride a stento, a tenere in mano il telefono per lo scatto. La vuole quella foto. Ma non può sorridere, non può abbracciar­e, neanche per un selfe. Eppure la tiene da conto, quella foto, per 13 mesi. Fino all’ultimo. E all’ultimo la invia all’uomo con cui non è riuscito a «farsi vedere con orgoglio». Se l’avesse fatto, una volta per tutte, avrebbe dovuto «lasciare sua fglia». Cambiare partner, separarsi, lo sappiamo, non condanna a «lasciare» i fgli nati dall’unione che fnisce. Ma per l’uomo che non riesce a sorridere, amare un altro uomo alla luce del sole e rimanere il padre della sua bambina è inimmagina­bile. Perché ci sono gli amori buoni e quelli cattivi. Un padre che accoglie un amore cattivo può solo sparire. E perderla, la sua bambina, l’amore buono. Ma nemmeno rinnegare se stesso, quello vero, è più possibile. Da parte mia, di A. e di quella bambina, un sentito ringraziam­ento ai benpensant­i.

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