Vanity Fair (Italy)

NON RICORDO NULLA»

«MIO FIGLIO MI HA TOCCATO DA DIETRO, IO HO RISCHIATO DI ROMPERGLI LA TESTA. ERO FUORI DI ME, L’HO PICCHIATO:

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dalle guerre mondiali e dove, dal Vietnam in poi, sono nate associazio­ni che aiutano gli ex soldati, nel nostro Paese non si sa neanche quanti siano a sofrirne. «Ammettere che sono tanti, signifcher­ebbe dover ammettere anche che le nostre non sono vere missioni di pace. Lo Stato poi dovrebbe risarcirli tutti», mi dice un reduce dell’Afghanista­n che preferisce restare anonimo. Dallo Stato Maggiore della Difesa fanno sapere che «i casi sono pochi. Dal 2001 ne abbiamo avuti solo 24, dei quali 14 da psichiatri­a e 10 meritevoli di particolar­e assistenza», precisa il tenente colonnello Fabio Cippitelli. «Siamo attorno allo solo che loro lo rivivono come se stesse ancora accadendo. Diventano nervosi, hanno tachicardi­a, si comportano come se dovessero afrontare il pericolo», aggiunge lo psichiatra Daniele Moretti. «I ricordi dell’accaduto ti entrano in testa mentre fai la doccia, la spesa, non riesci a liberarten­e. Alcuni fniscono per abusare di alcol e farmaci, diventano depressi, si suicidano». In America si stima che ne sofrano tra il 17 e il 20 per cento dei militari rientrati da Iraq e Afghanista­n, ogni anno si registrano quasi 6.500 suicidi. «I dati italiani appaiono sottostima­ti», aggiunge Moretti, «forse perché i soldati hanno paura di parlare dei loro problemi in caserma». «O perché i veri numeri vengono insabbiati», aggiunge l’anonimo reduce dell’Afghanista­n. A far sorgere qualche dubbio sono due interrogaz­ioni parlamenta­ri. Nella prima, del 2011, il sottosegre­tario alla Difesa Giuseppe Cossiga aferma che dal maggio 2005 sono stati registrati 267 casi. Ma nel 2013 il successore Gioacchino Alfano li riduce, per lo stesso arco di tempo, a 33. Che fne hanno fatto tutti gli altri? «Non erano veri casi di Ptsd», dice il tenente colonnello Cippitelli, «si è poi scoperto che quei militari avevano altri problemi». Facendo una rapida ricerca tra gli psicologi privati, spuntano però oltre un centinaio di casi, un po’ più dei 24 segnalatic­i dalle forze armate. La psicologa viterbese Rachele Magro dal 2004 ne ha seguito una ventina. «Con alcuni facciamo sedute via Skype dai teatri di guerra. A volte sono le mogli a scrivermi che i mariti non sono più gli stessi, molti matrimoni scoppiano. In famiglia i soldati non raccontano tutto quello che vivono, e poi capita come a un mio assistito che durante un temporale si è rifugiato sotto il letto urlando di mettersi al riparo. Quando devono tornare in missione per loro è terribile, temono di non essere all’altezza. Vivono con la paura di avere un attacco di panico durante un’operazione, di non essere più in grado di svolgere bene il proprio lavoro». Come Piero Follesa, con il quale abbiamo iniziato questa storia. Lui, alla fne, è stato congedato. «Mi sono deciso a farmi

Piero Follesa, 51 anni, ex brigadiere dell’Arma

ferito a Nassiriya il 12 novembre 2003 ( sopra). È in cura per la

sindrome da guerra. 0,5-1%, quindi sotto la soglia del 3 per cento, che è la media della popolazion­e italiana che ne sofre. Va premesso che solo da un anno l’Ispettorat­o generale della Sanità militare ha istituito le linee guida per valutare e gestire il disturbo post- traumatico, quindi i dati li stiamo raccoglien­do da pochi mesi. L’incidenza da noi è così bassa perché c’è una attenta selezione del personale, i nostri soldati vengono preparati prima del dispiegame­nto all’estero e seguiti da psicologi durante le missioni, e anche al rientro. Certo, qualche caso all’inizio può sfuggire, poiché il disturbo può emergere anche sei mesi dopo il trauma». Ma che cos’è la sindrome da guerra? «Colpisce le persone che si trovano ad affrontare eventi eccezional­i, come un terremoto, una rapina, uno stupro e, ovviamente, anche i militari che si trovano al centro di sparatorie, esplosioni, sono vittime di attentati, vedono con i propri occhi l’orrore», spiega la psicoterap­euta Sabrina Bonino, che nel Centro di salute mentale di Finale Ligure segue cinque veterani. I sintomi sono invalidant­i. «Si va dall’insonnia ai fashback dell’evento traumatico,

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CONGEDATO
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