Vanity Fair (Italy)

Cuore d’inverno

Dopo l’arte contempora­nea, è il cappotto la grande passione del gallerista GIÒ MARCONI perché, dice, «è il capo che racconta chi sei». I suoi, infatti, sono insoliti e colorati. Altro che loden...

- Di ANNAMARIA SBISÀ A ME I TALENTI

uando entra in scena, facilmente l’occhio cade su di lui, o meglio sul suo cappotto: raramente prevedibil­e. Giò Marconi veste forte, nel senso che afda allo strato che si mette per ultimo e si vede per primo il dono della sintesi: «Il cappotto racconta chi sei». Parlando d’arte e del suo lavoro di gallerista, racconterà di lui la nuova piattaform­a a Milano, «ritagliata sulla mia dimensione», con cui Giò riparte, il 19 febbraio, da una storia lunga 25 anni. Quella che lega il cognome Marconi a un capitolo importante: da Fontana in poi, padre Giorgio e fglio Giò hanno intercetta­to nel contempora­neo tutto ciò che tuttora conta. Si apre vicino allo storico Studio Marconi, sede delle sue prime mostre e ora della Fondazione: «C’è anche un lato esotico in questa zona della città legato al continente Africa, da cui non mi voglio allontanar­e». Senso estetico che intercetta il mondo esterno e quello interiore, anche attraverso il cappotto: «A Milano oltre al loden non vai, in genere l’inverno è abitato da blu e grigio e basta». Giò fende invece la folla con tagli militari, con i colori di rombi che non puntano alla discrezion­e, irrompe con pezzi unici d’artista, insiste su revers d’astrakan – su base bianca, nera, stampata – infne spiazza con il nero sartoriale: «È

QLa nuova galleria Giò Marconi ha inaugurato il 19 febbraio in via Tadino 20 a Milano, «traslocand­o» dal civico 15. Fino al 18 aprile, per festeggiar­e i 25 anni di attività, ospita la mostra Yes We’re Open, una collettiva di 27 artisti, da John Bock a Francesco Vezzoli ( www.giomarconi.com). il primo impatto, come l’ingresso in una casa. Ho bisogno di un cappotto forte. M’identifco con quella diversità». Che colleziona con nevrosi: «Non so poi gestirli e fnisce che metto sempre lo stesso, però continuo a comprarne». Chiamiamol­a allora ossessione, che comincia con uno spinato doppiopett­o molto sciancrato, più adulto dei 18 anni d’età dell’acquirente. È solo l’inizio di un intenso rapporto tra il giovane Giò e il sarto Bolognesi, un valzer di quadri e cappotti. Incrociand­o i piani, ora Marconi le opere le indossa, per esempio quelle di Adele Röder, ovvero il modello dipinto dall’artista: «Nella sua idea sarebbe un’opera, ma non resisto, lo uso». Il nonno Bellotti faceva foulard, e il giovane Giò rimaneva incantato dai disegnator­i e dai cache- col in seta del nonno, oppure dai pantaloni a scacchi del padre. Il prossimo acquisto potrebbe essere un loden recentemen­te visto a Monaco. Potrebbe confermare che a Milano oltre al loden non si va, ma questo va oltre, con quella riga rossa da coperta militare, in attesa del sogno vero: un doppiopett­o lungo fno ai piedi, tipo Dracula. Il doppiopett­o come elezione: «Tiene a distanza le persone». L’immagine iconica è datata anni Trenta e ha la forma ampia e potente del cappotto scuro di Man Ray. Chiediamo consigli per gli acquisti, riceviamo dettagli: lunghezza sotto il ginocchio, bottoni ricoperti di tessuto, revers imponenti, tasche attaccate magari gofrate, no al verde loden, basta con il cammello. Salverebbe dall’armadio: «Il doppiopett­o nero, il più sicuro». Invece sfodera rombi rosso-azzurri: «Sono uno scudo, che spaventa, e io passo. Non temo la provocazio­ne». L’estate è un momento difcile, si passa ai giubbotti e alle giacche leggere con quattro tasche sulla camicia. «Mi dà una forma». Perché mai grigia? «Mi annoierei da solo». Piuttosto queste scarpe da tennis fuo? «Sono brutte, ma rappresent­ano l’oggi. Una realtà “tecno comoda” che è difcile risolvere con eleganza, ma qualcuno ci riesce». Cos’è il cappotto? «Direi la borsa di una donna».

 ??  ?? C A R P E D I EM Giò Marconi ha aperto la sua prima galleria nel 1990 per darespazio agli artisti emergenti di respiroint­ernazional­e.
C A R P E D I EM Giò Marconi ha aperto la sua prima galleria nel 1990 per darespazio agli artisti emergenti di respiroint­ernazional­e.

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