QUEL TAGLIO DI SALUTE
Da Mina a San Vittore: la famosa «curatrice di chiome» DINA AZZOLINI racconta come il carcere (degli altri) l’ha guarita
Èstato difficile abituarmi a quell’odore di stanze in cui si fa tutto: si cucina, si fuma, si dorme. E poi tutte quelle porte chiuse a chiave. Ho dovuto superare la mia ossessione per gli odori forti, la claustrofobia, il fastidio di essere toccata: il carcere mi ha guarita». Dina Azzolini, la curatrice di chiome che per anni ha coccolato le teste di Mina, Anna Piaggi, Gian Maria Volonté nel suo salone di via della Spiga, l’artigiana del capello che Helmut Newton esigeva sui suoi set, la donna che negli anni ’80 della permanente a tutti i costi ha detto addio alla chimica della tinta, delle piastre e dei ricci per diventare la sacerdotessa del capello naturale (mille – giura – le clienti che ha convertito al bianco), lei, «la Dina» in persona, taglia i capelli a San Vittore. Lo fa da due anni, e ne parla poco. Anche adesso, nonostante il caldo soffocante. «Avrò fatto 250 teste, mai un pidocchio», dice. Nella casa circondariale di Milano, non entra solo per «curare le chiome» (vietato usare la parola parrucchiera: si offende). Dina ha avviato un corso settimanale per insegnare ai detenuti come tagliare i capelli. «Il vero argomento è la passione. C’è chi impara subito, chi non saprà mai tenere in mano un paio di forbici: non importa. Insegno l’impegno necessario a fare un mestiere con le mani. Insegno a prendersi cura di sé». Il progetto di Dina Azzolini è uno dei tanti esempi di rieducazione realizzati a San Vittore, progetti di cui ci sarebbe gran bisogno: in attesa che gli Stati¯Generali¯dell’esecuzione penale convocati dal ministro della Giustizia Andrea Orlando presentino proposte concrete per la riforma delle carceri, in Italia il 60% dei detenuti fa uso di droghe, il 70% torna a delinquere scontata la pena, e solo l’1% lavora durante la detenzione. Che cosa insegna in carcere? «Non c’è tempo per fare molto. Inizi il corso, fai tre lezioni e poi i detenuti sono trasferiti. Ho puntato sul taglio di salute». Che cos’è il taglio di salute? «È come potare i capelli. Togli via le doppie punte, il crespo scompare e la chioma resta lucente. È il taglio che attira le carezze. In carcere le ragazze passano il tempo a torturarsi i capelli: piastre, trecce, treccine, colorazioni. Insegno loro ad amarli, ad averne rispetto. Quando usciranno sapranno tenersi la testa in ordine e magari guadagneranno qualcosa facendolo ad altri». Dove taglia i capelli in carcere? «Ogni raggio ha una barberia. Le ragazze, per farmi un regalo, l’hanno dipinta tutta di rosa: mi sono commossa. All’inizio mi chiamavano “prof”: ci hanno messo un po’ a capire che non avevo paura. Sono nella stanza da sola, con dieci di loro, senza guardie, con tante forbici in giro: mai un problema, una lite, una perquisizione». E con i detenuti, com’è andata? «Sono come i ragazzi fuori: clonati dal rasoio. Ho fatto conoscere ai barbieri di San Vittore le forbici e da settembre farò un corso per loro». Chi sono i «barbieri di San Vittore»? «Detenuti che radono i capelli agli altri e fanno anche qualche lavoretto fuori, grazie ai permessi. Si fanno chiamare così ma non sono barbieri. Però ce n’era uno che era bravissimo. Aveva talento, come Dana». Chi è Dana? «Una ragazza che ha capito il linguaggio delle forbici. Ora è uscita, siamo ancora in contatto. Vive in una comunità di recupero fuori Milano: è andata da un parrucchiere e gli ha mostrato il mio taglio di salute. Alle clienti del negozio è piaciuto e ora lavora lì. Dana è la mia soddisfazione più grande».