Vanity Fair (Italy)

Ricomincio dall’orto

I ricordi dell’infanzia rivivono nei piatti della chef e star Tv Lidia Bastianich e di suo iglio Joe

- Di ANNA MAZZOTTI

Il sapore del latte appena munto, caldo, cremoso. La dolcezza appiccicos­a dei chi ancora tiepidi di sole, da far esplodere in bocca o da lanciarsi addosso nei giochi tra bambini. E la lucentezza succosa dei grappoli di uva, messi poi a essiccare per preparare i dolci, la fragranza del pane sfornato, le uova bevute nel pollaio, il gusto dolce e sapido del prosciutto istriano, preparato nella casa della nonna. Questi sono i ricordi di Lidia Bastianich, mescolati a quelli della fuga dall’Istria, del viaggio in aereo verso una nuova vita, l’arrivo a Manhattan con i suoi grattaciel­i, stupefacen­te per lo sguardo di una bambina profuga. Una bambina diventata una degli chef più amati della Tv americana, autrice di best sellers di cucina, titolare di vari ristoranti negli Usa, giudice di Junior MasterChef Italia e proprietar­ia, con il glio Joe, di Orsone, il primo locale italiano, a Cividale del Friuli, aŸacciato sui vigneti di famiglia. È per questi ricordi che è diventata chef ? «Sì, e anche per restare “connessa” a mia nonna. Sono come libri di una biblioteca da consultare: quando cucino, ricerco quei sapori puri. Ma la mia determinaz­ione è dovuta anche al voler dimostrare ai miei genitori che fecero la scelta giusta abbandonan­do tutto per darci un futuro». Si sente più italiana o americana? «Tutte e due: ho la creatività italiana e il pragmatism­o americano. Anche a questo devo il mio successo». Perché aprire qui, in questo luogo un po’ isolato? «Siamo vicini all’Istria. Io e i miei gli, Joe e Tanya, volevamo avere anche in Italia un posto tranquillo dove vivere. Joe poi desiderava produrre vini, e ha scelto questa terra di grandi bianchi, come i suoi Vespa e Calabrone». Qual è la sua ŸlosoŸa in cucina? «Il rispetto delle materie prime. Uno chef non può essere meglio della natura: i prodotti sono fondamenta­li, il nostro compito è quello di esaltarli». Cosa pensa della nuova generazion­e di chef ? «Sono bravi, ma non dovrebbero temere la semplicità o esagerare con la tecnica, anche se comprendo che con riduzioni, disidrataz­ioni e schiume vogliono ritrovare l’intensità dei sapori. La gastronomi­a molecolare per me è aggressiva ma, come un movimento nell’arte, è stata necessaria, perché la cucina è in continua evoluzione».

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