Vanity Fair (Italy)

Non ascoltare i pensieri: ascolta IL RESPIRO

- di MASSIMO GRAMELLINI

CARO MASSIMO,

Sono un ragazzo di 22 anni, ma me ne sento addosso il quadruplo. Fino a pochi mesi fa la mia vita è stata molto più felice di quanto ritenessi al tempo, e molto meno meritata. Ho avuto tutte le possibilit­à, non solo economiche, grazie alla mia famiglia che mi ha sempre sostenuto. Mi sono laureato in FilosoŸa con il massimo dei voti. Ho avuto tre relazioni, lunghe e importanti, con ragazze che valevano più di me. Dopo che l’ultima mi ha lasciato, la crisi, scatenata dalla consapevol­ezza delle mie mancanze. Prima di tutto, la mancanza di voglia. Non ho mai davvero voluto nulla nella mia vita: un misto tra angoscia e pigrizia mi frena. Se dovessi scegliere un epitaffio, e visto quanto penso al suicidio potrebbe non essere lontano, scriverei: «Visse. Poco e male». Il tempo passa e continuo a essere solo, angosciato e inattivo. Mi sento dire: «Sei pieno di qualità, è assurdo che ti butti giù», e questo mi conferma quanto sia stato capace di farmi credere l’opposto di ciò che sono. Uno stupido la cui essenza è stata portata all’esistenza contro la sua volontà. —P.

Proverò a riscrivere la tua lettera senza cambiare i fatti, ma osservando­li da un altro punto di vista. «Provengo da una famiglia che mi sostiene e mi ama, mi sono appena laureato col massimo dei voti e, pur avendo solo 22 anni, ho già avuto la fortuna di vivere tre storie importanti. Quando l’ultima è nita contro la mia volontà, il senso di fallimento e l’elaborazio­ne del lutto mi hanno lasciato addosso una depression­e sottile. Mi sento inetto, stupido, inutile. E in parte lo sono, come tutti. Ma sono anche pieno di qualità, e a dirlo è la mia biogra a, sono le persone che mi conoscono meglio di quanto in questo momento possa conoscermi io. La ne di un amore e la mancanza di obiettivi concreti dopo la laurea hanno esaltato il mio lato debole. Trascorro i giorni e le notti chiuso nella stanza dei miei pensieri. Percorro i tortuosi sentieri che si dipartono dalla mia testa e mi ritrovo sempre al punto di partenza: la mia inadeguate­zza a vivere, la mia sostanzial­e infelicità che non ha alcun motivo serio su cui appoggiars­i se non l’infelicità stessa. Qualcuno penserà che i miei siano i deliri narcisisti­ci di un 22enne imbevuto di letture loso che. A lei, che i 22 credo li abbia passati da un pezzo, ricordano qualcosa?». Sì, caro P., mi ricordano un ventiduenn­e ancora pieno di capelli che passava le ore in una stanza dentro una nuvola di fumo, a scomporre e ricomporre la sua breve vita che però, nell’analisi spietata a cui egli la sottoponev­a, gli sembrava già essere stata n troppo lunga e forse meritevole di un taglio. Anche in quel caso era stata una crisi d’amore a mettere in moto la ricerca di un senso e a scatenare il desiderio di un cambiament­o, o meglio a produrre una ri¿essione sull’impossibil­ità per lui di essere diverso da quello che era, insieme con la certezza di essere ben poca cosa. Come ne sono uscito? Vorrei poterti dare una formula magica, ma non c’è. O forse sì, anche se non è magica. Consiste nell’interrompe­re il ¿usso dei pensieri. Ascoltare il respiro, no a diventare consapevol­e che oltre la mente e i suoi tarli esiste un nocciolo duro e che quel nocciolo sei tu. Non i tuoi pensieri, ma quel respiro che ti ricorda come non esistano passato e futuro, esiste soltanto il momento che stai vivendo. Hai bisogno di ritrovare l’emozione per la scoperta che ti animava da bambino. Quando è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa per la prima volta? La mia amica Chiara Gamberale vi ha dedicato un libro, Per dieci minuti, in cui la protagonis­ta, per superare la mancanza di autostima e di senso che la attanaglia, si impegna a compiere ogni giorno un’azione che non ha mai fatto, per dieci minuti. Dipingersi le unghie di un colore strano. Camminare all’indietro. Telefonare a uno sconosciut­o. Gesti futili e talora assurdi, ma che interrompo­no il ¿usso del cervello e ti obbligano a uscire dai dedali della mente. Finché resti chiuso lì, non troverai altra soluzione ai problemi che rimanervi prigionier­o. È un male per do, e come cura prescrive il male stesso. Non gli credere, è una trappola. Smetti di giudicarti, esci dalla stanza delle elucubrazi­oni, esplora il paesaggio circostant­e. Senza aspettare di aver fatto pace con te stesso e con l’immagine sfocata che ne hai. Quella cambierà un po’ alla volta. Quando sarai così occupato a vivere da non lasciarti più paralizzar­e dai pensieri intorno alla vita.

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ILLUSTRAZI­ONE ANDRÉ DA LOBA
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