GRAZIE GRINDR
Ha appena realizzato un video (con una grande artista e un grande compositore) dove esprime la sua vena più romantica, quella che gli fa rimpiangere le lacrime d’amore. Però, dice FRANCESCO VEZZOLI, questa epoca dai sentimenti anestetizzati un pregio ce l
G«Girare un video con Cindy Sherman è come lavorare con la Meryl Streep dell’arte». Francesco Vezzoli cita un’icona cinematogra¬ca non a caso. Per oltre un decennio, l’artista bresciano ha coinvolto nelle sue opere celebrity come Cate Blanchett, Jessica Chastain, Helen Mirren, Courtney Love. E l’elenco completo sarebbe lunghissimo. Questa volta, però, è stato lui a dire di no alle attrici: «Per me, si tratta di una fase che si è conclusa. In questi anni ho avuto la fortuna di lavorare con tutte le star che volevo. È come se quell’emozione lì si fosse esaurita». Un po’ ammette di averle trovate anche umanamente deludenti. Non è rimasto in contatto con nessuna di loro. «Del resto, è così che funziona nel cinema, non credo che Roman Polanski e Faye Dunaway si parlino al telefono tutte le sere». Ma facciamo un passo indietro. Nel 2009, il cantautore Rufus Wainwright ha debuttato in teatro con un’opera lirica, Prima Donna, su una cantante sul viale del tramonto in procinto di esibirsi per una rentrée che dovrebbe segnare al tempo stesso la ¬ne e la celebrazione della sua carriera. Wainwright e Vezzoli si conoscono da tempo. «Insieme abbiamo anche registrato un programma per una Tv tedesca in cui lo accompagnavo a vedere le antichità di Roma», racconta. «Proprio durante quella trasmissione mi chiese se ero disponibile a realizzare un video per la sua opera. Ho detto di sì. Di fronte alle telecamere che altro puoi dire?». A quel punto si trattava di trovare la persona giusta per interpretare la parte della cantante. «Rufus mi aveva proposto attrici anche famosissime ma non mi interessava. Se avessimo scelto, per dire, Susan Sarandon, lei si sarebbe truccata da Maria Callas e avrebbe recitato il suo ruolo. Per lei sarebbe stato un giro di valzer come un altro». Così lo hanno chiesto a Cindy Sherman, una delle più importanti artiste viventi. E lei inaspettatamente, dice Vezzoli, ha accettato. «È stata una s¬da interessante e terrorizzante. Per il ruolo che ha nella storia dell’arte, la Sherman è paragonabile a un Je» Koons. Se non le è mai stato riconosciuto del tutto è solo perché è una donna». Sembra che quest’opera racconti una storia molto melodrammatica. «Lo è. Credo che Rufus mi abbia proposto questa collaborazione perché è un tema che mi interessa e che, in passato, ho a»rontato spesso nel mio lavoro. Io sono un sentimentale, e vedo che purtroppo intorno a me l’amore e la so»erenza per amore stanno ¬nendo». In che senso? «Con i social media oggi è diventato facilissimo trovare sesso. Magari non sesso fantastico, ma comunque funziona da palliativo. Una volta qualunque ferita si rimarginava con lentezza. Adesso tutto accade più rapidamente. Chiudersi in se stessi per elaborare il dolore è un concetto obsoleto. Non sto dicendo che sia negativo: le categorie che ¬no a qualche tempo fa erano più umiliate e o»ese, ovvero le donne e i gay, con i social possono riconquistarsi una libertà. Magari non dolcissima». Non sono sicura di aver capito. «Ti hanno lasciato, ti è successo qualcosa di brutto, vai sui Grindr, trovi da scopare e ti passa tutto più velocemente. Il dolore c’è ma lo anestetizzi. Così è più facile andare oltre gli schemi». In quanto apertamente omosessuale sono certa che gliel’hanno già chiesto non so quante volte, ma qual è la sua posizione sui matrimoni gay?
«Sono pronto a combattere perché tutti abbiano gli stessi diritti. Io, però, non mi sposerò e non adotterò bambini. Preferisco essere un libertino, o almeno far ¬nta di esserlo. Anche perché ritengo che in questo momento corrisponda a una scelta politica».
Ovvero?
«Viviamo in un’epoca emotivamente e sessualmente schizofrenica. L’industria dei matrimoni è cresciuta in maniera enorme, tutti vogliono bambini, con l’inseminazione, con l’adozione, tutti sono pronti a combattere per il diritto di avere una famiglia. L’immaginario dominante è fatto di cerimonie di nozze, passeggini, pannolini, cicogne, idilliache coppie gay con ¬gli. Tutti parlano di monogamia. Dall’altro lato però, il numero dei prostituti e delle prostitute continua ad aumentare, ci sono siti porno che fatturano come il Pil di un sono arrivato prima. È solo che molti, in passato, mi hanno criticato proprio per essere icono- celebrativo. Oggi siamo arrivati all’ autoiconizzazione».
I social media stanno avendo un impatto anche sull’arte?
«No. Zero. Curatori e artisti che nel loro settore hanno un potere enorme su Twitter hanno meno visibilità di mia zia. È un mondo di nicchia e tale vuole rimanere, dominato da lobby che giudicano dall’alto delle proprie cattedre: questo è valido, questo no. Che è esattamente l’opposto dei social, dove non c’è ¬ltro critico. Se vuoi fare tanti click metti un culo o un gattino. Se pubblichi le opere d’arte più pagate al mondo di questi ultimi decenni, non se le ¬la nessuno. Vincono le emozioni più basiche».
Non mi stupisce.
«Eppure trovo che ci sia una nota stonata. Il mondo dell’arte cresce in maniera