Vanity Fair (Italy)

I MMA V I T E L L I

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o conosciuto Jinoos Taghizadeh in una galleria d’arte di Teheran, qualche anno fa. Aveva gli occhi tristi, e tristi erano le sue opere. Evocavano sogni perduti, ali spezzate. Comprai un suo quadro: una moltitudin­e di farfalline multicolor­i si agitavano infilzate sull’immagine trionfante dell’ayatollah Khomeini. «Sono così felice!», mi dice ora al telefono dalla sua città. «Forse l’inverno è finito!».

HIl freddo, di cui parla Jinoos, è la cortina di ferro che dal 1979, l’anno della rivoluzion­e islamica, ha fatto dell’Iran uno Stato canaglia. Dopo trentasei anni di guerra fredda e due di negoziati, l’accordo sul nucleare raggiunto a Vienna il 14 luglio è un’onda di luce. Le sanzioni hanno fatto strame, l’inflazione ha ridotto buona parte della popolazion­e alla fame. «La prima cosa che cambierà è il mercato nero», mi spiega Meisam Jebelli, un ragazzo colto, che lavora nel turismo. Il mercato nero in realtà era grigio, poiché come si fa a definire nero l’unico mercato disponibil­e in un Paese? Negli ultimi anni, il valore del dollaro americano è passato da 10 mila a 30 mila rial, una catastrofe per chi importa tanti beni primari. Un chilo di riso costava 7 mila rial, sotto sanzioni 55 mila. Per non parlare delle medicine. Un amico di Meisam ha il cancro allo stomaco, ma non i soldi per i farmaci antitumora­li, scaduti, disponibil­i solo sul mercato grigio a prezzi assurdi. «Ora forse si potrà curare». E i pezzi di ricambio? Gli unici a infischiar­sene delle sanzioni, gli unici a riempire il vuoto lasciato dagli occidental­i sono stati i cinesi con le loro merci a buon mercato. Ogni anno, negli ultimi tre anni, è caduto un aereo, in Iran, a causa dei pezzi di ricambi cinesi montati sui velivoli. E la nebbia, la perpetua nebbia nera di Teheran, ne vogliamo parlare? La città ha tredici milioni di abitanti, cinque milioni di auto e due milioni di motorini, in una nazione che ha il petrolio ma non impianti adeguati per raffinare la benzina. I bambini hanno quasi tutti l’asma. «La speranza è che l’aria si faccia un po’ più chiara», mi dice Taghizadeh, l’artista delle farfalle. L’aria, in effetti, è già un po’ più chiara. L’avvento di una nuova era è visibile nelle maglie un po’ più larghe della Polizia morale. Ci sono ragazze, nelle Repubblica islamica, che mostrano l’ombelico. «L’ombelico! Ci pensi? La prima volta che ne ho vista una ho pensato: finisce male. Ma ormai è normale», dice Jinoos. L’accordo di Vienna è il culmine di un più ampio rilassamen­to del regime, che si esprime in tanti modi. È più facile ottenere un visto e i turisti, un tempo sconosciut­i, ora affollano Persepolis. «È bello vedere tanti europei in giro», dice Meisam. «Ho 35 anni e per tutta la mia vita non avrei mai detto che un giorno, nel mio Paese, sarei stato felice».

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